Insieme per costruire il cosmetico bio

Anche la collaborazione fra gli attori della filiera contribuisce a rendere i cosmetici biologici più simili a come il consumatore li vorrebbe, nell’attesa di un intervento legislativo che tarda ad arrivare. Che si tratti del prodotto di uso quotidiano o di quello più prezioso per i momenti dedicati ai rituali di cura della persona, il consumatore ha chiaro cosa vuole trovare nei cosmetici: vuole ingredienti di derivazione vegetale e addirittura li vuole biologici. Proprio i termini «naturale» e «biologico», insieme a «sostenibilità», sono tra i più usati dai consumatori nelle conversazioni e nelle ricerche online quando parlano di cosmetici, secondo recenti indagini di Cosmetica Italia. Non a caso proprio i claim botanico-erboristici sono tra i più utilizzati nelle presentazioni dei prodotti per la cura della persona, indipendentemente dalle categorie e dai canali distributivi, una tendenza globale. A fronte di tanto interesse, la cosmesi biologica si sta fattivamente affermando sul mercato, sia per disponibilità di prodotti, con una gamma sempre più ampia di cosmetici che per funzionalità e gradevolezza non hanno nulla da invidiare a quelli convenzionali, sia per il moltiplicarsi di standard privati che li certificano. Proprio questo successo pone la sfida più grande per la bellezza bio: quella della trasparenza. Mancando infatti una definizione di riferimento che individui esattamente cosa sia il cosmetico biologico, questo mercato rimane esposto a operazioni che con la filosofia del biologico hanno poco da spartire. Ne parliamo con Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB, storico ente di certificazione del biologico. Oltre che nell’ambito agroalimentare, CCPB è attivo nei settori non food della cosmesi, della detergenza domestica e dei dispositivi medici. Nell’area del cosmetico, propone propri standard per il cosmetico biologico e per il cosmetico naturale; inoltre è l’ente certificatore riconosciuto in Italia per lo standard internazionale Natrue.

Vedete interesse nelle imprese cosmetiche a certificare i prodotti sia nel campo del biologico sia nel campo del naturale?
L’interesse esiste tra le aziende, ed è in crescita. In queste certificazioni vedono infatti la possibilità di migliorare la loro posizione sul mercato allargando la loro offerta in un’area che oggi in modo sempre più chiaro incontra la domanda dei consumatori. I trend di crescita premiano questo tipo di prodotto e, anche nel settore cosmetico, ci fanno capire che non siamo più di fronte a una nicchia. Le aziende stanno lavorando per sviluppare questo tipo di mercato, che sta diventando un traino anche per prodotti estranei alla filosofia del biologico. In questo sviluppo la certificazione rappresenta il valore aggiunto che permette di distinguersi, attraverso l’attestazione di un ente di parte terza, con un prodotto che recepisce determinati standard nella scelta degli ingredienti e nelle modalità produttive, superando quindi il livello del mero claim.

Il consumatore inizia dunque a prendere confidenza con questi standard?
Non tutti i consumatori interessati al biologico sono completamente consapevoli, al momento, del significato della certificazione secondo un determinato standard. Vedo invece maggiore consapevolezza fra gli attori intermedi, distributori, farmacisti, erboristi, che influenzano la domanda del mercato. Questi soggetti stanno capendo che la certificazione di parte terza fornisce un certo livello di garanzia sul prodotto. Sono attori importanti, destinati a svolgere un ruolo più incisivo nel proporre, presentare, far conoscere questi prodotti, un ruolo ancora vissuto solo in parte. Per questo, nell’ambito delle proprie attività, CCPB sta cercando di coinvolgerli, con iniziative e convegni volti a spiegare i cosmetici naturali e biologici, gli standard che li certificano, ecc. Da questo punto di vista la strada da fare è ancora lunga. Una strada finora percorsa praticamente solo dalle imprese che, insieme agli organismi di certificazione, sono state le uniche che hanno tradotto, quindi introdotto, i concetti di biologico e di naturalità nel mondo del cosmetico, investendo e assumendosi il rischio di portare sul mercato questo tipo di innovazione e di farla comprendere al consumatore.

Fabrizio Piva

Quali sono gli orizzonti per il cosmetico biologico dal punto di vista della sostituzione degli ingredienti di sintesi o minerali?
Uno dei problemi più complessi continua a essere quello dei sistemi conservanti. Ci sono poi moltissimi ingredienti tecnici, emulsionanti, condizionanti, ecc. nonché ingredienti di base ancora largamente non di derivazione vegetale. Tutta quest’area tecnologica che interessa trasversalmente le formulazioni dovrà essere oggetto della ricerca del futuro, quindi di un impegno più intenso da parte dei laboratori di ricerca e sviluppo delle imprese, ma anche del mondo della ricerca e dell’università per portare innovazione in questa parte dell’ingredientisitica. Sono questi gli sviluppi che maggiormente influenzeranno gli standard nel prossimo futuro. Questa evoluzione tecnologica e della ricerca permetterà a ingredienti di derivazione vegetale di sostituire capillarmente le sostanze di sintesi che ancora oggi sono ammesse nei disciplinari perché indispensabili per ragioni di performance o di sicurezza del prodotto. Questo sarà il driver più forte che porterà alla modifica degli standard.

Considerando il bisogno di trasparenza che si sente in questo mercato, quali sono le sfide cruciali?
Oggi per moltissimi ingredienti di base e ingredienti tecnici le verifiche si basano sui documenti che i produttori di cosmetici raccolgono dai propri fornitori, senza che l’organismo di parte terza possa controllare in modo diretto i fornitori stessi. L’organismo di certificazione, quindi, valuta il produttore di finito, i suoi processi, le materie prime naturali utilizzate, le filiere agricole, raccoglie una serie d’informazioni, ma di fronte a una parte dei fornitori deve fermarsi. È chiaro che fino a quando mancherà una normativa che stabilisca i reciproci impegni di ciascun attore della filiera del cosmetico biologico/naturale, gli attori con maggior potere contrattuale potranno sottrarsi alle verifiche dell’ente certificatore. Finché non sarà possibile il controllo anche sulla parte della filiera che fornisce gli ingredienti di base e tecnici non avremo una completa trasparenza. L’aspetto cruciale in questa fase è che questo mercato venga dotato di una legislazione che fornisca le opportune definizioni e soprattutto i requisiti dei prodotti, dei produttori e delle materie prime, comprese quelle che non provengo dalle filiere agricole.

In attesa che il legislatore provveda a colmare questo vuoto?
Sarebbe auspicabile una maggiore apertura di tutta la filiera affinché, insieme, si possa arrivare alla costruzione di quel prodotto con ampie caratteristiche di naturalità richiesto dal consumatore, mentre oggi c’è ancora una frattura. È un limite strutturale, che riguarda la base delle formulazioni, che include emulsionanti, condizionanti, tensioattivi, su cui una maggiore disponibilità alla collaborazione lungo questa filiera potrebbe supplire al vuoto normativo.

 
DELUDE LO STANDARD ISO
Da alcuni anni l’ISO, International Standard Organization, sta lavorando alla preparazione di uno standard armonizzato sui cosiddetti NOC, natural and organic cosmetics. Questa attività ha portato alla pubblicazione, lo scorso febbraio, dello standard ISO 16128-1:2016 Guidelines on technical definitions and criteria for natural and organic cosmetic ingredients and products, nella sua prima parte, riferita alle definizioni per gli ingredienti. Mentre si attende la seconda parte, dedicata ai criteri per questo tipo di cosmesi, non mancano le voci critiche, fra cui quella di CCPB. «Il problema che vediamo è che il livello di definizione, di restrittività e di garanzia individuato dallo standard ISO è inferiore a quello dei disciplinari privati di questo settore –afferma Fabrizio Piva. -Questo non avrà alcuna utilità per il consumatore, che di fatto si troverà uno standard armonizzato che riduce le garanzie a cui è abituato, invece che aumentarle. Sarà di conseguenza del tutto irrilevante, se non dannoso, per chi opera in questo settore, che avrebbe invece urgenza di un intervento legislativo».

di E.Perani