Tendenze: come cambia l’immagine del cosmetico

young woman is choosing lipstick at cosmetics shop
young woman is choosing lipstick at cosmetics shop
young woman is choosing lipstick at cosmetics shop

Ariela Mortara, docente di sociologia dei consumi, Università IULM di Milano, Department of Marketing, Behaviour, Communication, and Consumption «Giampaolo Fabris».

Dove sta andando la comunicazione dei cosmetici considerando i messaggi?
La tendenza generale è abbandonare l’immagine del cosmetico come strumento utilizzato per migliorare la propria accettazione sociale e puntare invece su un aspetto valoriale, secondo cui il cosmetico si propone l’obiettivo di ‘far star bene con se stessi’. Cambia, quindi, il concetto di bellezza proposto dai messaggi: si osserva infatti lo spostamento da una bellezza solo di superficie a una bellezza interiore, che il cosmetico aiuta a valorizzare e a far emergere.  Una bellezza che dipende da una condizione di salute e benessere che il cosmetico supporta: questo aspetto è stato rafforzato anche tramite contenuti che valorizzano la ricerca e sviluppo delle aziende. Viene proposto un prodotto sempre più tecnologico, la cui funzionalità non va a nascondere un eventuale difetto ma contribuisce a migliorare, agendo spesso dall’interno, l’aspetto esteriore. Una tendenza che investe tutti i prodotti, dalla crema al deodorante, fino alla cosmesi decorativa. Quest’ultima rimane maggiormente ancorata a immagini di impatto nella valorizzazione del dettaglio (della bocca, degli occhi, dell’incarnato ecc.), ma anche qui troviamo una ricerca di azioni che vanno oltre la semplice funzione del colorare e mascherare: effetti nutrienti e protettivi, specificità come, per i rossetti, l’effetto volumizzante o lifting. La tecnologia dei cosmetici supporta un’idea di bellezza collegata allo star bene.

Ariela Mortara
Ariela Mortara

Viene superata l’idea del cosmetico che garantisce l’accettazione sociale?
Fin dai suoi inizi storici, la bellezza proposta attraverso la comunicazione pubblicitaria del cosmetico si rapportava con la società, con gli altri: essere attraente, essere notato o comunque all’altezza della situazione. Adesso questo aspetto non è più rilevante, perché il fatto di star bene con se stessi costituisce il prerequisito, supportato dal cosmetico, che ha come conseguenza l’essere a proprio agio anche nel contesto sociale. Le recenti campagne integrate tra i diversi media, con possibilità di partecipazione dei consumatori attraverso concorsi o pubblicazione sui social network di filmati o foto realizzati dagli utenti, hanno enfatizzato questa evoluzione: alla bellezza stereotipata del passato, quella «bellezza cosmetica» intesa come artificiale e finta, si sostituisce una bellezza che è, secondo le varie declinazioni, «autentica», «naturale», «interiore», ecc. ma comunque personale. Ciascuno è bello, insomma, quando sta bene con se stesso.

Mentre la legislazione spinge verso una maggiore trasparenza, si affievolisce la distinguibilità fra contenuti sponsorizzati e contenuti indipendenti. È possibile una comunicazione trasparente?
In teoria la comunicazione pubblicitaria dovrebbe essere sempre dichiarata, nella realtà i confini non sono sempre così netti. Quando un blogger su internet inizia ad avere molti follower, la sua attività viene spesso in vario modo sponsorizzata. È solo un esempio, ma il rischio esiste e risulta amplificato su internet, dove, in effetti, determinare con sicurezza quale sia l’emittente del messaggio è più difficile che sui media tradizionali. Questo non implica che il consumatore subisca passivamente questi fenomeni. Dovrebbe infatti aver sviluppato – o essere prossimo a sviluppare – la capacità di riconoscere un contenuto spontaneo da quello in qualche modo «sponsorizzato». La capacità dei consumatori di essere critici dovrebbe compensare l’espansione non dichiarata dei messaggi sponsorizzati. In quest’ottica, più che ulteriori sforzi rivolti a normare o a proibire, vedo più una necessità di educazione del consumatore rispetto all’esistenza di forme ibride di comunicazione. D’altra parte, le stesse valutazioni del Giurì dello IAP sulle pubblicità segnalate come ingannevoli tengono sempre in considerazione anche il livello di competenza del pubblico di riferimento di una certa campagna. La trasparenza della comunicazione non è un concetto assoluto, ma deve sempre essere relativizzata in funzione del ricevente a cui il messaggio si rivolge e al rapporto con l’emittente.