Gestire i controlli lungo la catena di fornitura

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Claudia Strasserra

In materia di Corporate Social Responsibility (CSR) il tema delle condizioni di lavoro lungo la catena di fornitura è critico, soprattutto quando la filiera si estende nei paesi in via di sviluppo, dove effettuare controlli diretti è difficile e costoso. Monitorare la catena di fornitura è una attività importante, che permette di effettuare una analisi del rischio e la conseguente gestione. Il monitoraggio dei fornitori attraverso l’invio di questionari è una pratica frequentemente eseguita dalle aziende, che spesso si spingono a richiedere ai propri fornitori di impegnarsi a rispettare pratiche corrette ai fini di assicurare la salute e sicurezza dei luoghi di lavoro nonché condizioni e salari dignitosi ai lavoratori, per esempio ai sensi dello standard SA8000 oppure delle  convenzioni ILO. Abbiamo chiesto a Claudia Strasserra, Social Responsibility Sector Manager di Bureau Veritas, come è possibile avere garanzie sul fatto che un impegno preso formalmente, anche ai sensi delle norme armonizzate, venga poi effettivamente rispettato. «Le verifiche in loco sono ovviamente il mezzo più sicuro, però è vero che gli audit soprattutto in ambito internazionale hanno costi elevati, non alla portata di tutti. Ci sono due modelli operativi. I grandi brand scelgono spesso di effettuare gli audit di parte terza ai fornitori. È un onere rilevante, ma viene sostenuto a fronte della valutazione del rischio, per scongiurare che violazioni dei diritti dei lavoratori o incidenti in paesi in via di sviluppo possano incrinare la reputazione del brand, con ripercussioni negative sulla fiducia dei consumatori e sui mercati finanziari. Un secondo modello, diffuso nel settore del food, è che i brand richiedano ai propri fornitori di sostenere essi stessi il costo dell’audit e caricare i risultati su un database disponibile a tutti».
Quando la strada dell’audit internazionale non è percorribile, prosegue Strasserra, è comunque possibile limitare il rischio di ricevere informazioni non del tutto vere dai fornitori, affiancando ai questionari che le aziende rivolgono loro, la richiesta di opportuni documenti: «la valutazione dei rischi per la salute e sicurezza sul lavoro, per esempio, le procedure interne di selezione dei fornitori o di selezione del personale, le procedure di formazione del personale, gli attestati di formazione degli addetti alla sicurezza dei siti produttivi (primo soccorso, antincendio ecc.). Si tratta una documentazione che permette di ricostruire un quadro del livello di attenzione del fornitore a questi aspetti». Questa raccolta di documenti sta diventando un modello alternativo di audit. «Si tratta dei cosiddetti desktop audit –riporta Strasserra. -Possono essere gestiti da parti terze, società specializzate, e permettono di raccogliere elementi per la valutazione dei fornitori con costi e tempi ridotti». Attivarsi in questi controlli è sempre consigliabile, secondo l’esperta di Bureau Veritas. «È evidente che non tutte le aree grigie delle filiere possono essere illuminate, ma questo non giustifica l’inerzia. Il punto di partenza è uno sforzo di conoscenza della filiera e di conoscenza dei rischi a essa legati e conseguenze economiche per il proprio business in caso di mancata gestione. La possibilità che il fornitore non voglia essere trasparente esiste, ma la scelta di cambiarlo è fra le opzioni che si pongono alle imprese. Infine –conclude, -chiunque può fare valutazioni errate, tuttavia, una corretta gestione di questi rischi cambia l’esito di una eventuale crisi: l’azienda che abbia svolto controlli, che abbia preso in carico situazioni di violazione, che abbia operato per migliorare l’impatto del proprio business risponde più efficacemente a un attacco reputazionale».

di E.Perani