Conosciuto anche come agarwood, eaglewood jinko e gaharu, è una preziosa essenza con sfumature animalesche e muschiate miste a odore di cuoio, di radici e di terra, ma anche a note dolci come il cacao, il caramello e altri aromi orientali indescrivibili. La fragranza varia notevolmente in funzione della provenienza e della qualità e può essere legnosa e balsamica con spiccati sentori di terra ma anche dolce, simile al profumo del miele, amara o salmastra, come l’odore di alghe affumicate. Si tratta di una materia prima alquanto rara e costosa, se di buona qualità, e il valore commerciale dell’olio essenziale viene stimato in una volta e mezzo quello dell’oro, rendendolo sicuramente l’olio essenziale più costoso.
Origine
Gli OUD sono dei composti resinosi (oleoresine) molto densi che impregnano il cuore del legno di alberi appartenenti al genere Aquilaria, della famiglia delle Thymelacee, grandi piante sempreverdi originarie del sud-est asiatico. Questa resina è particolarmente aromatica quando rilasciata dall’albero per proteggersi dall’attacco del fungo Phaeoacremonium parasiticum e il legno è tanto più pregiato quanto più ricco di resina. Prima dell’attacco microbiologico il cuore resinoso del legno è morbido, completamente inodore, bianco o leggermente colorato in chiaro mentre dopo l’infezione cambia colore proprio a causa della produzione della resina, scura aromatica e ricca di composti terpenici, che ha lo scopo di bloccare o rallentare la crescita del parassita. Mano a mano che l’infezione progredisce la densità del legno aumenta coinvolgendo dapprima il legno del tronco poi anche le radici. Il colore del legno diventa marrone scuro o nero. Il legno di una pianta non infettata dal fungo non ha interesse in campo cosmetico, un albero parzialmente infetto ancora vivo verrà tagliato e usato per l’estrazione dell’OUD (olio essenziale) mentre un albero morto, o pesantemente attaccato dal fungo, verrà invece usato per la vendita del suo prezioso legno. Gli oli essenziali sono generalmente incolori, soprattutto quando sono freschi, ma diventano colorati se invecchiati e vengono distinti in “reddish brown” e “greenish brown”. La qualità dell’olio di OUD sembra che si possa giudicare dal suo gusto: più è amaro, più è pregevole. Aquilaria malaccensis è considerata la regina delle piante produttrici di oud; esistono anche altre piante, sempre del genere Aquilaria, che crescono in regioni africane come l’Etiopia. Nelle foreste naturali solo il 7% degli alberi è infettato dal fungo e siccome la maggior parte dei generi di Aquilaria è in via di estinzione, l’oud è poco disponibile e quindi molto costoso (tab.1).
Tab. 1- Le piante che producono OUD |
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Aquilaria khasiana, in Pakistan e India |
Aquilaria apiculina, nelle Filippine |
Aquilaria acuminata, in Papua Nuova Guinea, Indonesia e Filippine |
Aquilaria baillonil, in Tailandia and Cambogia |
Aquilaria baneonsis, in Vietnam |
Aquilaria beccariana, in Indonesia |
Aquilaria brachyantha, in Malesia |
Aquilaria crassana in Cambogia, Malesia, Tailandia e Vietnam |
Aquilaria cumingiana, in Indonesia e Malaysia |
Aquilaria filaria, in Nuova Guinea, Molucche e Filippine |
Aquilaria grandiflora, in Cina |
Aquilaria hirta, in Tailandia, Indonesia e Malesia |
Aquilaria malaccensis, in Malesia, Tailandia e India |
Aquilaria microcapa, in Indonesia Malesia |
Aquilaria rostrata, in Malesia |
Aquilaria sinensis, in Cina |
Aquilaria subintegra, in Tailandia. |
Usi
È molto apprezzato in varie culture, soprattutto quella asiatica-orientale e quella araba, e viene impiegato in vari settori. La ricchezza di nomi per questo legno (e la sua resina) riflette l’esteso e vario uso nell’arco dei millenni. L’impiego dell’agarwood come prodotto medicinale è riportato in testi arabi, in saggi di medicina ayurveda, tibetana e in trattati di medicina popolare orientale come antiasmatico, espettorante, antiemetico e antinausea. Come incenso viene destinato soprattutto a cerimonie religiose da Buddisti, Indù, Musulmani e, più recentemente, anche in Giappone. L’uso del profumo ha un ruolo molto importante nella cultura araba. In Arabia Saudita, dove la religione gioca un ruolo fondamentale, il profumo è legato al sacro: l’atto del profumarsi è quindi fortemente incoraggiato sia per gli uomini che per le donne. A questo proposito occorre sottolineare che la differenziazione tra profumi maschili e femminili è molto meno evidente che in Europa o negli USA. Gli uomini infatti utilizzano tranquillamente anche fragranze a base di rosa e di note fruttate che in occidente vengono più dedicate a profumi femminili. Sia l’incenso che l’olio, citati anche nell’Antico Testamento, sono utilizzati come profumi nei paesi arabi e orientali in genere, sono formulati in modo diverso da quelli dei paesi ocidentali. Non sono infatti sotto forma di soluzioni alcoliche o idroalcoliche (eaux de toilette, eaux de parfums, colonie) ma sotto forma di olio che ne permette anche maggior stabilità e durata. Nonostante si tratti di paesi con climi molto caldi, le colonie e i profumi freschi non sono molto ricercati. E possibile inoltre profumarsi per fumigazione, esponendo gli abiti e i capelli ai fumi del legno, sottoforma di scaglie imbevute, che brucia richiamando alla memoria le origini del profumo, dal latino per fumum, attraverso il fumo. Lo strumento impiegato per la combustione si chiama mabkhara. Negli anni molte marche arabe di profumi sono restate piuttosto sconosciute mentre altre si sono aperte alla clientela occidentale conquistandola velocemente.
Chimica
Lo sviluppo di prodotti di sintesi porta generalmente all’ottenimento di buoni prodotti che possono sostituire quelli naturali ma nel caso dell’oud questo non è realizzabile sia per le vie sintetiche complesse, i sesquiterpeni responsabili della fragranza risultano estremamente difficili sintetizzare, che per l’elevato costo dei prodotti di partenza. L’oud sintetico risulta quindi difficile da preparare e l’unica alternativa è rappresentata dall’inoculo del fungo in alberi di foreste artificiali. Numerosi studi sono stati effettuati per isolare le molecole odorose responsabili della fragranza dell’OUD e per poterne individuare l’esatta struttura chimica. Le prime ricerche sul più famoso “incenso d’oriente” risalgono agli anni 60; Bhattacharyya et al. identificarono ben otto sesquiterpeni, tra cui agarospirolo e ß-agarofurano. Questi studi furono ripresi successivamente da Nakanishi e. al. che suddivisero i legni di Aquilaria in due grandi classi A e B che si distinguevano l’una dall’altra per il diverso contenuto in sesquiterpenoidi. Nel primo tipo di agarwood (A) sono presenti soprattutto agarospirolo e agarofurano, sia in forma α che ß, mentre nel secondo tipo (B) oltre all’α-agarospirolo sono presenti anche 10epi-γ-eudesmolo, oxoagarospirolo e ginkololo. Questi autori quindi vantavano di aver isolato ben sei nuovi sesquiterpeni triciclici tra cui il ginkololo e derivati del prezizaene (fig. 1). Successivi studi condotti su vari generi di Aquilaria confermano la robusta presenza di agarospirolo e ginkololo, individuano altri derivati terpenici quali kusunolo, ginkoeremolo e eremoligenolo (fig.1). Ulteriori ricerche identificano tre nuovi sesquiterpeni quali agarofurano, epi- γ-eudesmolo e oxo-agarospirolo (fig. 1) che sono principalmente presenti nel tipo di legno catalogato come B agarwood.
Produzione
Anche se i principi odorosi dell’OUD sono stati identificati, come precedentemente affermato, la via sintetica per la loro produzione non è perseguibile sia per la difficoltà sintetica che per l’impegno economico. Inoltre, sarebbe molto difficile ricostruire la stessa composizione quali-quantitativa dell’olio essenziale e quindi della sua fragranza. L’unico modo quindi per incrementare la produzione di oud è rappresentato da colture di sole piante di Aquilaria che vengono infettate con Phaeoacremonium parasitica. La resina prodotta con queste modalità, e quindi il relativo olio essenziale, è di qualità inferiore rispetto a quella prodotta spontaneamente e quindi anche un minor valore commerciale, ma resta comunque una via da perseguire al fine di proteggere le piante di Aquilaria. Infatti, a causa dell’immenso valore e della contestuale rarità, gli alberi sono stati abbattuti indiscriminatamente tanto da rischiare la loro estinzione. La Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora (CITES) ha inserito il genere Aquilaria, in particolare la malaccensis, tra le specie botaniche protette [1].
Estrazione dell’olio essenziale
Quando pezzi di tronco infettato si anneriscono per la produzione di oleoresina, il legno viene ridotto in piccoli pezzi o scaglie che serviranno per l’estrazione. Il legno non annerito non viene preso in considerazione dalle industrie essenziere. Le scaglie preparate, e anche la polvere che si è formata, vengono immerse in acqua e lascate “maturare” per alcuni giorni, per imbibire il legno, e poi poste ad asciugare al sole, per due o tre giorni. Dopo essiccamento i pezzetti di legno vengono ridotti ancora di dimensione, pronti per il processo di estrazione della resina ovvero la separazione di composti aromatici dal materiale di partenza. l prodotti risultanti possono essere oli, concrete o burri e ciò dipende dalla quantità di cere che vengono estratte. Per ottenere un buon olio essenziale può essere necessario ripetere più processi estrattivi, il residuo solido della distillazione (scarto) è un legno non ancora esaurito e che, fatto asciugare, costituirà materia prima per preparare incenso. Per quanto riguarda i metodi di estrazione, possono essere utilizzate varie tecniche quali distillazione (con acqua o con vapore) estrazione con solventi, estrazione con anidride carbonica, enfleurage, spremitura a freddo, macerazione, percolazione: i più utilizzati sono l’estrazione con solventi e l’idrodistillazione. Ogni metodo ha i suoi vantaggi e svantaggi e permette di ottenere un olio essenziale con diversa qualità, la scelta del processo estrattivo è di centrale interesse perché un procedimento di estrazione non corretto o sbagliato potrebbe cambiare le caratteristiche chimiche dell’olio essenziale [1]
Estrazione con solventi
Può essere praticata con l’ausilio di etere, etanolo, metanolo, esano. Il vantaggio di questo metodo è rappresentato dalla possibilità di lavorare a pressione ambiente ma i solventi organici possono però rimanere per lungo tempo nell’olio essenziale e, oltre alle molecole responsabili della profumazione, possono estrarre anche altre sostanze indesiderate come per esempio le cere. Per ovviare a questo ultimo inconveniente le scaglie legnose vengono “pulite” in un bagno di solventi idrocarburici che sciolgono anche cere e pigmenti assieme alle sostanze aromatiche. Questa miscela deve dunque essere filtrata e poi sottoposta a distillazione [1].
Estrazione con CO2 supercritica
La CO2 supercritica sta diventando un importante solvente commerciale e industriale per il suo ruolo nei processi estrattivianche in considerazione della sua bassa tossicità e il suo basso impatto ambientale. La relativamente bassa temperatura del processo e la stabilità di CO2 permette anche di estrarre composti “integri” ovvero senza incidere troppo sulle caratteristiche chimiche delle molecole. L’anidride carbonica si comporta normalmente come un gas a temperatura e pressione standard (STP), o come un solido (ghiaccio secco) quando congelata. Se la temperatura e la pressione sono entrambe aumentate da STP fino al punto critico o a valori superiori, la CO2 può avere proprietà a metà strada tra un gas e un liquido; Più specificamente, si comporta come un fluido supercritico di sopra della sua temperatura e pressione critica, espandendosi per riempire il contenitore come un gas, ma con una densità come quella di un liquido; In questo stato può essere utilizzata come un solvente liquido, inerte e sicuro, che potrà estrarre molecole aromatiche con un processo del tutto simile a una vera estrazione. I vantaggi naturalmente sono rappresentati dal fatto che in condizioni normali la CO2 ritorna a essere un gas e abbandona l’estratto; non lascia alcun residuo organico, permette un alta resa in olio, ha un basso impatto sull’ambiente e, soprattutto, non altera la fragranza dell’OUD.
Distillazione con acqua
È molto utilizzata in quanto richiede semplici strumentazioni e non è costosa. Viene riservata principalmente alle polveri e a materiale duro come le radici. Il materiale viene posto direttamente in acqua nel contenitore che viene posto a bollire sopra una fonte di calore; il riscaldamento causa l’imbibizione cellulare e la fuoriuscita dell’olio essenziale che, non solubile con l’acqua, tenderà poi a separarsi.
Distillazione in corrente di vapore
Risulta comunque essere il metodo più “gentile” in quanto permette di estrarre l’olio grazie al vapor d’acqua senza raggiungere alte temperature e senza alterare i principi odorosi. Per proteggere ulteriormente l’olio estratto e non alterare la sua fragranza, è possibile lavorare anche in condizioni di vuoto in modo che a una temperatura minore di 100°C non si rischia il surriscaldamento del prezioso olio di OUD e non si decompongono le molecole odorose. Il materiale da estrarre viene posto, all’interno del distillatore, su apposite piastre forate al di sopra del generatore di vapore che attraversa le parti della pianta provocando l’evaporazione dei principi attivi volatili, ovvero la distillazione dell’olio. La tensione di vapore dell’acqua in ebollizione, sommata alla tensione di vapore dell’olio, fa si che questo possa distillare a una temperatura molto inferiore al suo punto di ebollizione con tutte le garanzie che ne conseguono. Questa miscela di vapori passa poi attraversano il refrigerante, condensa (distillato) e viene raccolta in un recipiente dove, dopo raffreddamento, si separano l’olio e l’acqua: il prezioso olio essenziale e un idrolato che, ancora ricco di profumazione, viene impiegato nel campo dell’aromaterapia.
Bibliografia
[1] Ashwin, C.B. (2009) Faculty of Chemical & Natural Resources Engineering, Universiti Malaysia Pahang. http://umpir.ump.edu.my/868/
di L. Perioli – Dip. di Chimica e Tecnologia del Farmaco, Università degli Studi di Perugia