Ultimamente il tema della protezione solare è molto dibattuto. Le motivazioni sono di varia natura. Prima di tutto va subito ribadita con forza la necessità obiettiva di difendere la pelle dalle diverse radiazioni emesse dal sole, e questo nonostante il fatto, ormai altrettanto accreditato, che l’esposizione è correlata ad alcuni suoi benefici irrinunciabili, quali la produzione di vitamina D, il miglioramento dell’umore o, questione da sottolineare dal punto di vista dermatologico, la possibilità di sfruttare alcune frazioni della radiazione solare per la terapia di alcune patologie cutanee.

Va ribadito, d’altro canto, che anche quando la fotoprotezione topica viene attuata costantemente, per sua stessa natura non è al momento sufficiente per garantire che la pelle (e suoi annessi) vengano protetti in modo adeguato. Questo è il motivo primario per cui, se da un lato le innovazioni e lo sviluppo tecnologico sono essenziali per il prossimo futuro degli individui, soprattutto in relazione alla ricerca di nuovi ingredienti, dall’altro sicurezza ed efficacia dei filtri solari rimangono i parametri fondamentali da indagare per questa categoria di sostanze.

Il tutto per garantire quanto più possibile di creare attraverso il prodotto finito una potente barriera per la cute, ovvero efficiente e performante contro i danni della luce (solare e non). Nondimeno, la questione dell’impatto ambientale è assurta agli onori della cronaca, così come la possibile sostituzione di alcuni tra i filtri utilizzati ed ammessi all’uso cosmetico, poiché indiziati di essere correlati con il fenomeno dell’interferenza endocrina.

La complessità dello spettro elettromagnetico

L’esposizione solare regala buonumore, stimola la produzione della vitamina D, modula il sistema immunitario e in alcuni casi è attiva sulla regolazione di alcune patologie cutanee, come la psoriasi o il lichen. Nonostante questo, però, l’irradiazione solare, come più che noto ma non sempre compreso bene dall’opinione pubblica, provoca alterazioni dermatologiche significative tra cui i tumori cutanei NMSC (Non Melanoma Skin Cancer, carcinomi basocellulari e spinocellulari) e il melanoma. Inoltre, ed è questione non da poco, l’esposizione cumulativa ai raggi ultravioletti costituisce il principale fattore di fotoinvecchiamento cutaneo precoce, caratterizzato da modificazioni istologiche e strutturali della struttura cutanea.

Come base per tutti, la scelta di un prodotto solare adeguato è una tappa essenziale per ottenere lo scopo e richiede l’utilizzo di formulazioni con protezione ad ampio spettro, capaci di difendere la cute dai raggi UVA e UVB. La selezione di prodotto per fototipo, inoltre, è altrettanto fondamentale per difendersi efficacemente nei confronti del sole (SPF), così come è fondamentale che tale funzione sia dimostrata/dimostrabile e personalizzata in base alle esigenze specifiche. Alcune recenti evidenze scientifiche, però, suggeriscono che tale protezione non sia sufficiente. Numerosi studi hanno, infatti, descritto come la radiazione infrarossa (IR) e la luce visibile (VL), in particolare nella fascia della luce blu (380–455nm), svolgano ruoli determinanti nei processi di danno cutaneo e fotoinvecchiamento precoce. In particolare, la luce visibile è in grado di produrre specie reattive dell’ossigeno (ROS), stimolare la produzione di mediatori proinfiammatori (citochine) e favorire l’espressione di metallo-proteinasi (MMP-1), ampliando gli effetti dannosi dei raggi ultravioletti, in sinergia con le altre bande di emissione.

Anche la banda di emissione tra UV e luce visibile (385–405 nm) è responsabile di alterazioni significative nell’espressione genica legata a processi infiammatori, stress ossidativo e, di conseguenza, senescenza cutanea.

I raggi infrarossi e la luce visibile provocano anch’essi un aumento nell’espressione delle metalloproteinasi MMP-1 e MMP-9, che, in associazione con la riduzione del pro-collagene di tipo I, dimostrano di avere un ruolo nella degradazione della matrice extracellulare dermica.

La sinergia tra HEVL (High Energy Visible Light, nota come “luce blu”) e i raggi UVA a lunga lunghezza d’onda (UVA1, 340-400 nm) può indurre la comparsa di iperpigmentazioni.
È opportuno, quindi, ampliare il raggio di azione della protezione solare, per tentare di coprire l’intero spettro elettromagnetico includendo non solamente gli UV, ma anche le altre regioni, al fine di prevenire in modo più efficace tutte le alterazioni, dal foto-danneggiamento alle sue conseguenze a lungo nel tempo. È, inoltre, auspicabile il potenziamento dell’azione di protezione attraverso l’utilizzo di ingredienti ad azione anti-radicalica. Questo tipo di approccio è attuabile sia a livello topico che di integrazione alimentare (strategia in&out).

La foto-bio-modulazione (photo-bio-modulation PBM)

Dal punto di vista dermatologico, congiuntamente alle problematiche della fotoprotezione esposte, è altrettanto fondamentale ricordare che la radiazione solare costituisce un’importante risorsa terapeutica per numerose patologie cutanee (come dimostrato dall’efficacia dell’esposizione solare nel trattamento, ad esempio, di psoriasi, acne, ulcere e altre patologie cutanee). Quest’ultima considerazione suggerisce che una protezione totale potrebbe risultare controproducente in alcune condizioni dermatologiche, di conseguenza suggerendo che l’opportunità di sviluppare “sistemi protettivi selettivi” con il passaggio delle sole radiazioni benefiche per determinate condizioni è una via perseguibile. Ad esempio, l’efficacia terapeutica della luce blu nel trattamento delle lesioni acneiche e dell’acne infiammatoria è stata ampiamente documentata, così come i benefici dell’esposizione controllata nelle altre condizioni già riportate.

L’osservazione clinica degli effetti positivi della radiazione solare su diverse patologie dermatologiche ha condotto allo sviluppo di una disciplina specifica: la foto-bio-modulazione (PBM). Avvalendosi anche di tecnologie laser a diodi, permette di irradiare la cute con specifiche lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico, comprendenti la luce visibile, la luce rossa (620-700 nm) e l’infrarosso vicino (700-1440 nm), per la terapia di diverse patologie cutanee.

Nel trattamento dell’acne, evidenze scientifiche dimostrano che la PBM può aiutare a ridurre la produzione sebacea e limitare la perdita di acqua transepidermica, oltre ad esercitare un’azione antimicrobica sulla flora batterica locale, in particolare sul Propionibacterium acnes. Nel ringiovanimento cutaneo, la PBM può avere effetti sul rimodellamento tissutale grazie alla stimolazione della produzione di collagene di tipo 1 e 3 ed elastina. Inoltre, questa metodica può contribuire al miglioramento dei processi di guarigione di ferite e cicatrici, influenzando tutte le fasi della riparazione tissutale e riducendo la componente infiammatoria. Questa metodica è stata applicata con successo anche nel trattamento di disturbi tricologici, incluse forme di alopecia non cicatriziale come l’alopecia androgenetica, l’alopecia areata, e forme cicatriziali come l’alopecia fibrosante frontale e il lichen planopilaris (…).

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