Responsabilità sociale come valore aggiunto

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Preoccuparsi delle ricadute delle proprie attività sull’ambiente e sugli stakeholder, dipendenti, fornitori, consumatori, collettività e ambiente è ormai irrinunciabile per tutte le imprese.
«La prosperità del business non può essere in antitesi con le esigenze degli stakeholder –riflette Claudia Strasserra, Social Responsibility Sector manager di Bureau Veritas, -ma dovrebbe essere collegata alla capacità di rispettare e soddisfare i propri interlocutori. A tutti serve una nuova consapevolezza del ruolo delle imprese. Questo non solo per motivi etici, ma anche perché i consumatori sono sensibili a questi temi e disponibili a premiare con le loro scelte chi riesce a distinguersi in tal senso». L’impegno nella responsabilità sociale non è in contrasto con gli obiettivi di profitto. «La responsabilità sociale, come definita dalle norme internazionali, parte dall’analisi del contesto in cui l’organizzazione opera e considera tutti i soggetti interessati dalle sue attività, puntando alla soddisfazione di tutte le parti coinvolte attraverso un approccio sistemico –evidenzia Armando Romaniello, direttore Marketing, Industry Management e Certificazione di Prodotto di Certiquality. -Attenuare o eliminare i conflitti esistenti o potenziali con il contesto è certamente un obiettivo compatibile con la prosperità del business. Il concetto di profitto, infatti, si è evoluto, riconoscendo che esistono valori non negoziabili in funzione del profitto, come la salute dei lavoratori, la tutela dei minori, il preservare la biodiversità e l’ambiente nonché il benessere della collettività. Questa è anche la logica verso cui si stanno orientando sempre di più le legislazioni dei paesi sviluppati, che ormai richiedono alle aziende un impegno sistematico nel prevenire gli incidenti e le malattie professionali nonché l’inquinamento e il degrado ambientale, ecc.»

Claudia Strasserra
Claudia Strasserra.

Nei rapporti con la filiera
In effetti un numero sempre maggiore di imprese è impegnato nella responsabilità sociale, con anche percorsi di certificazione, comprese le PMI. «Tutte le imprese hanno fornitori, hanno dipendenti, sono collocate in un contesto ambientale e sociale -considera Romaniello. -L’idea proposta dalla Linea Guida ISO 26000 è di partire da una analisi della propria attività e dei propri interlocutori: da questo emerge che addirittura ci sono aree in cui è subito possibile intervenire. Gli sprechi, la sicurezza, l’impatto sull’ambiente e sulla collettività, la selezione dei fornitori in base a criteri anche etici. Tra il fare tutto e il non fare nulla ci sono tanti gradi intermedi, che messi in opera porterebbero un enorme miglioramento. Questa è la logica e il punto di forza del miglioramento continuo». Questo impegno è particolarmente spendibile per i terzisti, rimarca il direttore Marketing di Certiquality «che all’interno di questi sistemi saranno in grado di dare le maggiori garanzie ai propri committenti. Le politiche di responsabilità sociale da parte di moltissimi brand, infatti, prevedono una scelta dei fornitori sia di beni sia di servizi anche in base a criteri etici, che valutano l’approccio responsabile dei propri partner produttivi rispetto alle condizioni di lavoro, all’impatto ambientale ecc. Il mondo del terzismo potrà quindi proporsi ai propri interlocutori con il valore aggiunto dei comportamenti responsabili».

Armando Romaniello.
Armando Romaniello.

Parlare al consumatore
La crescente sensibilità del consumatore rispetto ai temi della responsabilità sociale e ambientale ancora non corrisponde a una completa conoscenza degli standard armonizzati, sia quelli riguardanti i sistemi di gestione aziendali sia quelli relativi alle certificazioni di prodotto, questi ultimi proprio rivolti a guidare il consumatori in una scelta consapevole. A proposito del ruolo degli enti certificatori, commenta Armando Romaniello «l’organismo di certificazione pone estrema attenzione alla correttezza e trasparenza con cui le organizzazioni certificate comunicano il significato della certificazione. Questo aspetto fa parte degli accordi contrattuali, a garanzia di un uso leale del marchio, nell’ambito della comunicazione, per non dare a intendere al mercato cose non vere introducendo quindi fattori di concorrenza sleale. Mentre nei rapporti B2B il senso delle certificazioni è chiaro, c’è ancora molto da fare per la comunicazione al consumatore. Quando le certificazioni coinvolgono la catena di fornitura, con ricadute in diversi paesi, l’ente di certificazione è organizzato per effettuare controlli, per la parte che gli compete. Gli standard però sono moltissimi e, soprattutto quelli che si propongono al consumatore, non sempre sono del tutto trasparenti, giocando a volte sul meccanismo del controllo di parte terza con attori non ufficialmente accreditati». «Il tema nodale è mettere il consumatore nelle condizioni di scegliere chi gli dia le maggiori garanzie –afferma Claudia Strasserra di Bureau Veritas,-per innescare un circolo virtuoso in cui un’azienda che investe sulla responsabilità sociale sia riconoscibile». A tale scopo alcuni organismi di certificazione, tra cui Bureau Veritas e Certiquality, hanno elaborato lo standard Social Footprint, uno schema di certificazione che realizza a vantaggio del consumatore una etichetta narrante. «Questo strumento –sottolinea Strasserra -fornisce informazioni su tutto il percorso del prodotto lungo la filiera, a partire dalle materie prime, e le opportune garanzie che lungo i passaggi siano assicurate condizioni di lavoro dignitose ed effettuate le necessarie attività di monitoraggio». Tutto il mercato si sta rivolgendo a un’attenzione fortissima ai temi della responsabilità sociale. «Lo standard del mercato si sta alzando –ribadisce Romaniello, -e le aziende che si distinguono sono proprio quelle che su questi aspetti stanno lavorando da più tempo. Questo significa che i comportamenti scorretti si pagano sempre più cari nel momento in cui vengono smascherati, soprattutto in termini di credibilità». www.socialfootprint.it