Risorse genetiche: strategie di approccio alle autorità nazionali e alla filiera a valle

Frog in labIl Regolamento UE 511/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle misure di conformità per gli utilizzatori risultanti dal protocollo di Nagoya relativo all’accesso alle risorse genetiche e alla giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione nell’Unione -Regulation on Access and Benefit Sharing o ABS- è lo strumento con cui l’Europa applica il Protocollo di Nagoya. Il Regolamento si applica trasversalmente a tutte le risorse genetiche su cui venga effettuata una ricerca, in particolare se collegata alla tradizione d’uso locale, richiedendo agli utilizzatori di documentare di aver assolto agli obblighi previsti dalle rispettive legislazioni nazionali dei paesi da cui proviene la risorsa, che su di essa hanno sovranità e diritto di stabilire le condizioni per l’accesso e la condivisione dei benefici che ne derivano (ABS).  Valerio Bombardelli, della Commissione Direttiva di Mapic rileva alcune criticità ed elementi da considerare per le aziende che debbano approcciare le autorità dei paesi che detengono risorse genetiche di interesse. «Nei paesi che hanno una legislazione che implementa il Protocollo di Nagoya, le disposizioni non sono sempre chiare. L’India, ad esempio pone una serie di condizioni per l’accesso alle proprie risorse genetiche indipendentemente dal fatto che l’utilizzo sia legato alla tradizione locale. La grossa difficoltà per le aziende che operano in questo campo è che ogni paese esprime a proprio modo la sovranità sulle proprie risorse genetiche, senza possibilità di uniformità».
Cosa e quanto condividere è materia di contrattazione con l’autorità nazionale, che autorizza l’accesso attraverso un PIC (Prior Iinformed Consent, consenso informato preventivo) sulla base di termini preconcordati in un MAT (Mutually Agreed Terms, condizioni reciprocamente concordate). «Il PIC e il MAT non sono immutabili, anzi, verranno nel tempo precisati -spiega Bombardelli, –anche perché non si possono stabilire a priori i risultati degli studi su una certa risorsa genetica, e quindi le conseguenti applicazioni e benefici economici. Non bisogna pensare che la condivisione debba essere limitata ai benefici finanziari, del tipo royalty sul prodotto finito, ma potrebbe essere anche relativa al potenziamento di conoscenze e know-how a livello locale, produzioni o parte della ricerca svolte con partner locali ecc. Sono tutti aspetti che entrano nel MAT concordato con il National Focal Point».

Criteri di valutazione
Non sempre è immediato comprendere in quali casi si rientri negli obblighi di Nagoya, considera Bombardelli, «il caso più semplice è quello di una pianta mai studiata: Nagoya si applica senza dubbio. Diverso è sviluppare e magari brevettare un nuovo uso per una risorsa nota: apparentemente gli obblighi non ci sono, anche se l’ultima parola potrebbe dirla la legislazione locale. Si tratta di verifiche da fare caso per caso. Alcune risorse, infine, possono essere presenti in paesi diversi, con diverse legislazioni nazionali sul Protocollo di Nagoya, molti in totale assenza di legislazione quindi di obblighi per l’utilizzatore: al momento non è possibile comprendere le conseguenze di questa disomogeneità. Un’area in cui ancora non c’è chiarezza, anche sull’applicazione del Regolamento ABS, è l’utilizzo delle collezioni, in quanto raccolta di campioni che hanno ottemperato a Nagoya, quindi dotati di PIC e MAT. La discussione è aperta su come utilizzare la collezione, infatti, se il campione è stato acquisito con una certa finalità e quella dell’azienda che lo intende utilizzare è diversa, con ogni probabilità l’azienda avrà la necessità di ricontattare le autorità locali per adempiere agli obblighi di Nagoya».
L’incertezza sul concetto stesso di ricerca rappresenta un problema concreto per le aziende. «In teoria, anche la semplice purificazione di un estratto può essere considerata ricerca -riflette l’esperto di Mapic, -perché porta ad ottenere un prodotto diverso da quello originario. In pratica, però, è necessario capire quanto il problema sia concreto. Ad esempio, nel momento in cui un ingrediente non abbia una visibilità reale può esserci la tentazione di non fare nulla». Emblematico su questo aspetto che la legislazione indiana abbia rilasciato dal 2002, anno di implementazione della normativa nazionale, un numero di PIC e MAT esiguo se confrontato all’accesso piuttosto rilevante al materiale genetico di questo paese da parte delle aziende nei vari settori. Quali valutazioni strategiche nell’approcciare le autorità locali? «In linea di principio, l’approccio migliore è su progetti nuovi che abbiano prospettive di business, impostando una cooperazione con le autorità per svilupparli -risponde Bombardelli. –Su ricerche già in corso, invece, soprattutto se c’è la possibilità di ricadere in una attività di sola produzione che escluda gli obblighi di Nagoya, l’approccio alle autorità dovrà essere cauto, perché a livello delle nazioni che hanno sviluppato una legislazione a protezione dell’utilizzo delle risorse genetiche, come India, Brasile e Sudafrica, le sanzioni possono essere pesanti».
Rassicurare la propria filiera a valle rispetto all’accusa di biopirateria, in questa fase, è un aspetto da non sottovalutare. «È necessario essere chiari sul fatto che il campo di applicazione di Nagoya è limitato alle attività di ricerca: nel momento in cui la ricerca sia stata realizzata si parla di produzione, che non ricade in queste prescrizioni -sottolinea Bombardelli.-Soprattutto, è l’approccio generale che deve essere sostenibile, un impegno che ha ritorni importanti in primo luogo per l’azienda: intrattenere un rapporto di cooperazione e di partnership con le popolazioni locali e con le autorità significa assicurarsi una filiera di approvvigionamento consolidata e continua. È questo ciò che rassicura i propri clienti e, infine, anche i consumatori circa la sostenibilità dell’approccio aziendale. Un approccio di cooperazione deve sempre esserci, anche in un ambito in cui l’azienda non abbia obblighi normativi ai sensi di Nagoya. Nei casi di incertezza, peraltro, permette all’azienda di avere un buon dialogo con le autorità senza necessariamente esporla a obblighi normativi di cui non conosce l’esatta portata».

di E. Perani