Uno studio sottolinea le potenzialità cosmetiche dei sottoprodotti derivati dalla lavorazione del lupino, considerandone sia le caratteristiche biochimiche sia l’impatto sulla sostenibilità

Negli ultimi anni, si è assistito ad un’impennata della consapevolezza globale in merito alla conservazione della biodiversità e alla necessità di preservare il più possibile le risorse.
In tale contesto, la scelta degli ingredienti per lo sviluppo di cosmetici innovativi è fondamentale in quanto incide profondamente sia sulla salute cutanea sia sulla sostenibilità complessiva del prodotto.

Un potenziale sistema per affrontare questa sfida è rappresentato dall’uso di residui agroindustriali. Si tratta di un approccio strettamente connesso al concetto di upcycling, una pratica sostenibile che dà nuova vita ai sottoprodotti di lavorazione che altrimenti costituirebbero materiale di scarto.

Anche l’industria del lupino genera volumi sostanziali di residui preziosi per le proprietà bioattive, tra cui composti antiossidanti, antimicrobici, antinfiammatori e antiage, validi alleati nel concorrere al benessere cutaneo.

Lupino: un identikit

In tutto il Mediterraneo, in Australia e in America Latina, il lupino è parte integrante della dieta umana e animale da oltre 3.000 anni.

La composizione chimica dei suoi semi rappresenta un aspetto chiave perfino per la sua applicazione cosmetica.

I costituenti del lupino possono variare a seconda del genotipo e dell’ecosistema ambientale, che comprende temperatura, stagione, luce solare, proprietà del suolo e presenza di agenti patogeni.

In generale, il genere Lupinus è caratterizzato da alti livelli di proteine (36%–52%), fibre (30%–40%), olio (5%–20%) e oligosaccaridi (6%).

I semi di lupino contengono una vasta gamma di sostanze bioattive, quali alcaloidi chinolizidinici (QA), acidi grassi, composti fenolici, tocoferoli, fitosteroli, proteine, zuccheri, carboidrati, carotenoidi, acidi triterpenici e alcol triterpenico.

La review

Il presente lavoro, pubblicato su Sustainable Chemistry and Pharmacy, sottolinea le potenzialità cosmetiche dei bioattivi derivati dal lupino, considerandone sia le caratteristiche biochimiche che l’impatto sulla sostenibilità.

La revisione si apre prendendo in esame la biologia dei semi di lupino. Sono dunque descritti i principali composti chimici estratti dal lupino e dai suoi sottoprodotti di lavorazione agroindustriale. Da ultimo, vengono approfondite e discusse le proprietà di questi ingredienti, comprese le capacità antiossidanti, antimicrobiche, antinfiammatorie e antiage.

Le conclusioni

I residui dei processi di lavorazione del lupino si sono rivelati una soluzione interessante per soddisfare la crescente domanda di prodotti naturali. Hanno dimostrato un’elevata efficacia nel proteggere la pelle dagli effetti negativi dei fattori di stress esterni sia a livello cellulare che strutturale, prevenendo così l’invecchiamento cutaneo precoce e altre problematiche dermatologiche.

Il riutilizzo e la valorizzazione dei sottoprodotti del lupino per applicazioni cosmetiche rappresenta, pertanto, una potenziale strada per l’adozione di pratiche cosmetiche più rispettose dell’ambiente.

È tuttavia auspicabile un’ulteriore ricerca mirata sulle attività biologiche dei semi di lupino e dei suoi sottoprodotti per sviluppare formulazioni topiche ancora più efficaci e dal valore aggiunto.

Aline Caramona, Ana M. Martins, João Seixas, Joana Marto; The use, reuse and valorization of lupin and its industry by-products for dermocosmetics applications; Sustainable Chemistry and Pharmacy, Volume 38, 2024,101477, ISSN 2352-5541, https://doi.org/10.1016/j.scp.2024.101477

 

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