Porte aperte fra università e impresa

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Stefano Manfredini, direttore del COSMAST dell’Università di Ferrara, interviene al convegno Tecnologia e innovazione, armi vincenti del Made in Italy, organizzato da Kosmetica il 9 giugno, con una riflessione sul sistema del trasferimento tecnologico.

Come migliorare l’affermazione del Made in Italy cosmetico?
Se vogliamo continuare a essere il Made in Italy che il mondo conosce, a tutti livelli non solo nel design, dobbiamo investire in formazione e innovazione, e sui giovani talenti. I talenti si trattengono rendendo efficiente il «sistema» ricerca-applicazione, con trasferimento tecnologico: solo così si offre una opportunità ai giovani che oggi trovano occupazione all’estero; solo così la cosmetica italiana si manterrà all’avanguardia. Il settore cosmetico ha dimostrato di funzionare, è tecnologico, offre occupazione, esporta il doppio rispetto all’acciaio, ma non riceve attenzione dalle istituzioni. Molti comparti a elevato valore aggiunto, che puntano su tecnologie avanzate e pulite soffrono per l’incapacità politica di capire che sono questi i settori da difendere fornendo strumenti e infrastrutture intelligenti: non solo autostrade, quindi, ma un’università che funzioni, un sistema della ricerca forte di finanziamenti e personale, un sistema del trasferimento tecnologico che faccia davvero da ponte fra quanto sviluppato in università e le possibili applicazioni per il mercato e, viceversa, che sappia trarre dai problemi di chi applica e intraprende suggerimenti per lo sviluppo di soluzioni originali: inventando. Il Made in Italy, non solo cosmetico, deve fondarsi sulla ricerca per mantenere la propria posizione competitiva, mentre al momento il sistema universitario è allo stremo, indebolito da tagli lineari di politiche miopi che di anno in anno lo stanno soffocando, nella ricerca di una maggiore efficienza a costi sempre più bassi.

Industria e università hanno un ruolo: quali sono gli elementi per costruire un rapporto efficiente?
Serve costruire una piattaforma in cui sia possibile il dialogo. È il punto su cui lavorare per il futuro del settore cosmetico, perché quando questo dialogo funziona i risultati in termini di valorizzazione industriale e commerciale dell’innovazione ci sono sempre, senza eccezione. La condizione perché questo dialogo si sviluppi è che ci sia reciproca apertura: da parte dell’università calarsi nella realtà industriale e commerciale senza aver paura di «disattendere» la propria missione facendo ricerca applicata; da parte delle imprese serve invece che si sviluppi la consapevolezza dell’imprescindibilità della ricerca scientifica, della cultura e della formazione ai fini dell’innovazione e che per queste attività sono necessari risorse umane addestrate, tempo e investimenti.
Serve un patto concreto fra l’industria e l’università, in cui ciascuno parta da una posizione di rispetto e si prenda oneri e rischi. Per l’industria significa guardare nel medio termine, proiettandosi a 5-10 anni e per l’università stare a questo gioco e supportare la ricerca applicata dedicando docenti e ricercatori a questi progetti. Porte aperte, quindi, interscambio; ricercatori universitari e dell’industria che si muovono fra l’università e l’impresa senza essere penalizzati nelle rispettive carriere. Valorizzare in università la figura del tecnology transfert scientist, che conosce le innovazioni sviluppate nei laboratori universitari e sa lavorare a fianco dell’industria con le condizioni che questo impone.

Manfredini
Stefano Manfredini

L’università ne trarrebbe risorse…
Un sistema del trasferimento tecnologico che funzioni porterebbe all’università un ritorno economico per finanziare la ricerca di base. Costituisce infine una importante opportunità perché i giovani restino, mentre adesso li stiamo esportando ai paesi più lungimiranti del nostro, dopo aver contribuito con soldi pubblici la loro preparazione.

Anche la formazione dovrebbe rientrare in questa logica di scambio?
Ne sono convinto. L’industria dovrebbe chiedere specifici percorsi ed essere disposta ad assumere le figure che ne escono. Perché un’industria che vuole l’innovazione deve avere nel suo organico specialisti, che abbiano una formazione post laurea come i master di II livello e in particolare i dottori di ricerca, che sono le persone che hanno la propensione verso l’innovazione e sanno cosa significhi creare qualcosa di nuovo. Purtroppo oggi le aziende che danno valore e sanno utilizzare la ricerca sono ancora un’eccezione. L’industria cosmetica tende a evitare i rischi connessi con il cambiamento; ma senza rischi di insuccesso non si può fare innovazione.

Quale è il ruolo delle istituzioni?
Quello istituzionale è il terzo player. Il ministero e l’agenzia preposta alla valutazione del sistema Universitario, devono iniziare a riconoscere in maniera più concreta, ai docenti che ne hanno propensione, gli sforzi diretti al trasferimento tecnologico. Invece oggi la ricerca applicata, specialmente quella cosmetica, non è considerata e i docenti e ricercatori che vi dedicano parte delle proprie energie sono penalizzati. I ricercatori e i docenti sono valutati prevalentemente per la quantità e qualità delle pubblicazioni scientifiche, un po’ per le capacità didattiche, molto poco contano il lavoro con le imprese, l’avvio di spin off e i brevetti. In queste condizioni è ovvio che il trasferimento tecnologico venga trascurato.

di E. Perani