Gli studi sull’intero ciclo di vita (Life Cycle Assessment o LCA) sono l’approccio scientificamente corretto per valutare gli impatti ambientali di un prodotto, sia a supporto delle scelte formulative durante lo sviluppo prodotto sia ai fini dell’etichettatura ambientale. Una delle maggiori difficoltà per condurre questo tipo di analisi nel settore cosmetico è la scarsa disponibilità dei dati necessari riguardanti i diversi tipi di impatto non solo delle fasi produttive e del fine vita del cosmetico finito ma, a monte lungo la filiera produttiva, degli ingredienti e loro processi produttivi e, più a valle, delle fasi di distribuzione e logistica. «In questo momento i dati utili per gli studi di LCA sono in larga misura mancanti per tutto il settore chimico –considera Valentina Castellani, ricercatrice del Gruppo di Ricerca Sviluppo Sostenibile (GRISS) dell’Università di Milano-Bicocca. –A differenza di quanto è avvenuto per i materiali da costruzione e per le plastiche, infatti, non sono stati costruiti e resi pubblici database da parte delle associazioni di categoria. Alcune informazioni sulla tossicità ambientale delle sostanze chimiche potrebbero essere prodotte con l’implementazione del Reach, ma al momento non sono incluse nei principali database di LCA. Mancano inoltre i dati sui processi produttivi. Nel settore chimico, data la moltitudine di sostanze e la varietà dei processi, raccogliere questi dati è un compito gravoso per le aziende. Inoltre esistono timori di competitività, che rendono le aziende diffidenti nel fornire i dati di processo. Le banche dati vengono infatti costruite dalle associazioni di categoria con i dati medi di settore, mentre il dato primario dell’azienda, che sarebbe più preciso, è difficilmente reperibile». Nel tempo la situazione è destinata a migliorare, prevede la ricercatrice: «programmi come Responsible Care nel settore chimico, che implicano una raccolta dei dati relativi al processo produttivo, vanno in questa direzione e una ampia adesione lungo la filiera produttiva permetterebbe di disporre di maggiori informazioni. Per ora, la principale banca dati a cui ci si riferisce normalmente per qualsiasi studio di LCA è Ecoinvent, un database proprietario realizzato da un ente di ricerca svizzero, a cui si riferiscono i principali software per le analisi di LCA. Per quanto tale banca dati sia ricca, l’enorme varietà di molecole rende quasi sempre necessario fare approssimazioni per tipo di sostanze o di processi».
«Senz’altro i dati sono effettivamente un problema per la loro disponibilità, il loro costo e molte volte per la loro qualità -afferma Paolo Masoni, Head of the LCA and Ecodesign Laboratory di ENEA e presidente della Rete Italiana di LCA. –ENEA ha appena concluso per conto della Commissione Europea la valutazione della qualità delle principali banche dati commerciali e il risultato ha dimostrato la necessità di continuare a investire nella produzione di dati di adeguata qualità».
Per facilitare l’applicazione del LCA, un approccio che l’Unione Europea vorrebbe fosse diffuso il più ampiamente possibile ai prodotti sul mercato, il Joint Research Center della Commissione sta implementando linee guida e banche dati e, lo scorso febbraio, ha lanciato il Life Cycle Data Network, una infrastruttura online per facilitare l’accesso a dati e informazioni fra enti di tutto il mondo per gli studi di LCA.
In Italia, si auspica la realizzazione di un data base nazionale. Un sogno? Secondo Masoni di ENEA potrebbe diventare realtà. «Il Ministero dell’Ambiente ha richiesto a ENEA uno studio di fattibilità per una banca dati nazionale, che permetta alle imprese italiane di utilizzare dati a basso costo e rappresentativi effettivamente della realtà tecnologica del nostro paese, che, a causa dell’alto costo energetico e delle materie prime, è mediamente più efficiente dei concorrenti diretti. Se saranno reperite le necessarie risorse economiche, questo faciliterebbe moltissimo le imprese italiane a chiudere il gap esistente con le concorrenti europee».
di E. Perani