Il Protocollo di Nagoya è uno step del lungo percorso della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), adottata nel 1992 e ratificata a oggi da 194 parti che l’hanno sottoscritta, facendone uno dei programmi più ampiamente condiviso a livello globale. Siglato nel 2010 ed entrato in vigore a ottobre 2014, questo Protocollo si concentra sulle risorse genetiche, riconoscendo non solo l’importanza della loro conservazione, ma anche disponendo che il loro sfruttamento debba produrre benefici condivisi fra chi le utilizza e le comunità locali a cui appartengono. L’Unione Europea ha provvededuto ad adempiere agli obblighi del protocollo con il Regolamento 511/2014, detto anche Regulation in Access and Benefit Sharing (ABS).
«L’ambito degli obblighi di Nagoya implica una attività di ricerca che, in particolare, coinvolga conoscenze genetiche o legate alla diversità biologica e agli usi tradizionali che delle risorse genetiche localmente si fanno -spiega Giulio Pirotta, consigliere di SICC. -Sviluppare una applicazione basata su una risorsa genetica associata a un sapere tradizionale rientra pienamente nell’ambito di Nagoya, anche se successivamente, dal punto di vista produttivo, l’azienda dovesse sganciarsi dall’approvvigionamento locale, sviluppando approcci produttivi alternativi, per esempio da biotecnologie. Non sempre tuttavia è immediato stabilire l’ambito di applicazione della legislazione su Nagoya. Se, per esempio, gli studi svolti esulassero completamente dai saperi locali basandosi su un orto botanico, è necessaria una valutazione caso per caso».
Le autorità locali devono essere preventivamente avvisate di ogni attività di ricerca che coinvolga una risorsa genetica locale per ottenere la relativa autorizzazione.
Un aspetto problematico è stabilire cosa sia ritenuto attività di ricerca, oggetto di interpretazione a livello di legislazioni locali, un aspetto non chiaro anche nel Regolamento ABS. «Le operazioni di ricerca e sviluppo non sono definite nel regolamento 511/2014, -nota Stefano Dorato, direttore Relazioni scientifiche e normative di Cosmetica Italia. -Come riferimento ufficiale è possibile, però, valersi del Frascati Manual [5] pubblicato dall’OCSE/OECD: la ricerca e sviluppo potrebbe comprendere la ricerca scientifica condotta sistematicamente per migliorare la conoscenza (sull’essere umano, sulla cultura, sulla società) e l’utilizzo di questo insieme di conoscenze per nuove applicazioni».
Ciò che ci si aspetta è un aumento dei costi, generato da questo nuovo approccio da dare alla ricerca sulle risorse genetiche. «È prevedibile un certo allungamento dei tempi di sviluppo per alcuni tipi di ingredienti e anche un aumento dei costi (o una riduzione dei margini) in funzione della complessità di muoversi su questa materia -osserva Pirotta. -Molte sono le autorità coinvolte e gli attori con cui interagire ai diversi livelli della filiera. Si possono prevedere costi di condivisione, costi relativi al mantenere alto il livello di attenzione nell’effettuare controlli e verifiche, inoltre nel raccogliere e gestire la documentazione dalla filiera, costi di interazione/comunicazione con il consumatore per migliorare la fiducia nel rapporto con l’azienda che al momento, sugli aspetti dell’etica dell’approvvigionamento, non è elevata. Infine, si renderanno necessari anche investimenti in una comunicazione che sappia valorizzare l’impegno dell’azienda a tutelare la biodiversità nei territori di origine delle materie prime e a condividere i benefici con azioni concrete ed eque a favore delle comunità che detengono la risorsa che ho inserito nel prodotto».
di E. Perani