Sostenibile? Attenzione a non prendere abbagli

È un dato di fatto che oggi il tema della sostenibilità industriale susciti molto interesse, che le aziende si dichiarino attente alle proprie responsabilità sociali e che i consumatori siano preoccupati per l’ impatto ambientale della filiera produttiva. Ma tutta questa sensibilità si trasforma in tangibile successo economico solo quando i prodotti sono di alta qualità e i costi della sostenibilità non sono ribaltati sul consumatore. In altro caso l’attenzione al tema della sostenibilità non sembra invece essere un fattore decisivo nel processo di scelta di una marca. Al di la di quella che può sembrare una considerazione di buon senso, ci sono i dati di una recente ricerca francese che ha analizzato la correlazione tra sostenibilità e beni di lusso. Pur con una certa attenzione interpretativa, non essendo l’industria cosmetica completamente inquadrabile in un contesto di lusso, molti dei risultati emersi devono essere a mio avviso tenuti in considerazione nello sviluppo di politiche di sostenibilità industriale. Iniziamo dicendo che il concetto di sostenibilità, in se, non è banale e per comprenderlo al punto da farne motivo di scelta nel processo d’acquisto è necessario un livello di cultura e d’informazione più che elementare. Questo si traduce in un mercato che coinvolge prevalentemente le generazioni più giovani, le così dette X e Y (ovvero quelle nate dopo il 1970), con una maggior attenzione per le giovani donne. Inoltre, anche rivolgendosi al consumatore target, la ricerca evidenzia come nei fatti non ci sia una chiara disposizione alla rinunicia a caratteristiche funzionali in favore della sostenibilità del prodotto. Al contrario, la propensione all’acquisto appare diminuire sostanzialmente quando le funzionalità attese dal prodotto sono deludenti, anche di fronte a ottime caratteristiche socio-ambientali. In pratica, prodotti così detti green devono garantire, come minimo, le stesse performance dei concorrenti non-green. La ricerca sembra chiarire anche l’aspetto legato alla presenza di materiale riciclato all’interno del prodotto. Benissimo in caso di packaging secondario, ma attenzione a cosa si mette nel pack primario. Le risposte dei consumatori evidenziano chiaramente come non sia gradita la presenza di materiale riciclato all’interno di componenti direttamente legate alla funzionalità del prodotto. Al di là delle buone intenzioni infatti, alla materia riciclata non si attribuiscono caratteristiche né di esclusività né di qualità. Di fatto è percepita come un compromesso a favore della sostenibilità e quindi non apprezzata la dove è richiesta una elevata qualità e funzionalià. Interessante l’evidenza complementare che spiega come, al limite, sia meglio un prodotto al 100% ricicalto che uno parzialmente contenente materia prima riciclata (per esempio al 20%). Come se si dicesse «se devo fare un sacrificio per sostenere l’ambiente facciamolo bene: niente mezze misure». Quindi, bene le politiche di sostenibilità della filiera produttiva, quelle che riducono i consumi e gli sprechi e che utilizzano packaging secondari riciclati al 100%, ma attenzione a toccare il prodotto. Soprattutto non illudiamoci che la presenza di elementi di ricilo nel prodotto possa essere rivenduta come elemento di prestigio. Non è così. Anzi, una percentuale non trascurabile di dati evidenzia il forte sospetto e conseguente disagio da parte dei conusmatori rispetto ad azioni di cosi detto «green washing» (ovvero l’adozione di politiche di sostenibilità di facciata introdotte per cercare un riscontro di mercato). Quindi, attenzione e sobrietà anche nella politica di comunicazione. È possibile che una campagna basata sull’utilizzo di materie riciclate o parzialmente riciclate non ritorni i risultati sperati.

I dati supportano invece l’efficacia di una comunicazione focalizzata sull’uso di materiali naturali e provenienti da filiere sostenibili, controllate e trasparenti. Bene anche l’utilizzo della filiera equo-solidale, ma con attenzione. La qualità della materia prima finale deve essere sempre eccelsa. Il concetto di «equo-solidale» deve rassicurare sulle politiche commerciali e sociali, senza suggerire un compromesso qualitativo sulla materia prima (anzi la stessa deve essere percepita come migliore perché fuori dalla logica di industrializzazione molto spinta e orientata al profitto). L’obiettivo del consumatore attento al tema della sostenibilità è «consumiamo meno ma meglio» quindi alla fine si tratta ancora di una ricerca di una qualità maggiore rinunciando a un po’ di quantità. Infine, non trascuriamo il fatto che in questo particolare momento di mercato, la disponibilità a pagare un sovraprezzo a favore della sostenibilità può dipendere molto da prodotto a prodotto. Anche in presenza di grande qualità.

 In pratica
-migliorare l’efficienza della filiera produttiva: sostenibilità del ciclo produttivo;
-scegliere materie prime con ridotto impatto ambientale;
-packaging secondario 100% riciclabile, ma attenzione al pack primario.

Bibliografia
-M.Akli Achabou,S. Dekhili, Journal of Business Research 66 (2013) 1896–1903;
-Mintel Group Ltd., LuxePack 2013 NYC conference proceedings;
-Statitiche liberamente tratte da Duepuntozero Research, Gruppo Doxa.

 

di M.Piacentini  – esperto di Packaging