Troppi standard sul mercato?

lambadina di erbaUna riflessione sugli standard in materia di responsabilità sociale e ambientale non può ignorare quello che da molti viene visto come un problema: la proliferazione degli standard stessi, che in alcune aree inizia a essere un affollamento più che un riferimento, con rischi di creare confusione fra i consumatori e sul mercato, di mascherare operazioni di pura immagine e di svalutare l’impegno degli operatori che davvero investono nella RSI. Il commento di Armando Romaniello, direttore Marketing, Industry Management e Certificazione di Prodotto di Certiquality.

Il moltiplicarsi degli standard potrebbe rappresentare un pericolo di scarsa autorevolezza o eccessiva autoreferenzialità?
In primo luogo rappresenta una domanda di normazione, che è un fenomeno interessante per l’evoluzione della sensibilità delle imprese e del pubblico. Il fatto che l’ISO definisca una norma per una certa attività è indice che da anni ha raccolto un interesse a livello internazionale; molte norme ISO sono nate da standard locali. È chiaro che se parliamo di sistemi gestionali gli standard ISO debbano essere il riferimento; ma se decliniamo i concetti di sostenibilità sui singoli prodotti in assenza di uno standard ufficiale è normale una certa proliferazione, perché non si può prescindere dal prodotto e anche perché, in questa fase storica, la sensibilità è in evoluzione. Alcuni schemi sono affetti da un elevato livello di autoreferenzialità, è vero, quando sono emessi senza i necessari criteri di indipendenza e imparzialità. L’autoreferenzialità tuttavia, e con essa il green washing, comporta il rischio di essere smascherati dal mercato o di incorrere in sanzioni dell’Autorità Garante. Per porsi al riparo è importante la certificazione di una parte terza che sia davvero indipendente.

Armando Romaniello.
Armando Romaniello.

Intende dire che i soggetti terzi non sono tutti uguali?
Quelli accreditati dal sistema di accreditamento internazionale sono inquadrati in un sistema globale di formazione e verifica dell’ente terzo, che assicura l’adozione di un metodo di lavoro dell’ente terzo codificato da opportune norme ISO che stabiliscono come opera la certificazione a livello globale. Quindi il ricorrere a una parte terza accreditata, che certifichi un impegno a fronte di una norma armonizzata riconosciuta a livello internazionale, limita il rischio di ricadere nell’autoreferenzialità.

Quando si parla di responsabilità sociale e ambientale in filiere articolate come quella cosmetica, si percepisce una necessità di controlli sulle forniture che siano più approfonditi dei controlli documentali…
Le certificazioni di parte terza rilasciate da enti certificatori accreditati offrono un buon livello di garanzia. Peraltro l’azienda può affidare all’ente terzo una serie di controlli sulla catena di fornitura. L’ente terzo può infatti mettere a disposizione per questa attività ispettiva una struttura capillare fatta di personale qualificato e competenze in tutto il mondo, che spesso manca alle imprese. In funzione delle criticità che presenta un certo fornitore, con l’aiuto dell’ente terzo si crea una checklist di controlli da effettuare. Anche in assenza di queste attività ispettive, comunque, se il controllo è fatto da soggetti veramente terzi non si risolve a livello di documenti: non basta l’evidenza che l’azienda produce, si va invece a guardare come quel dato sia stato prodotto, entro quale range di errore lo possiamo considerare attendibile. Difficilmente aspetti macroscopici anche a livello della catena di fornitura sfuggono al controllore. Non avremo la certezza assoluta, che esula dalle finalità della normazione volontaria. L’adozione volontaria di standard serve invece ad attestare un processo graduale di miglioramento. Detto questo, non possiamo illuderci che su materie complesse come quelle ambientali e sociali, che ormai si giocano a livello globale, si possa applicare un filtro tutto-o-niente. Le norme stesse lo riconoscono: se un paese vive di lavoro minorile o di manodopera a basso costo e senza diritti questi drammi non potranno essere eliminati girando un bottone. L’utilità delle norme sta proprio nel prendere atto della realtà e favorire dei piani di cambiamento. Le organizzazioni potranno mettere dei paletti: riguardo all’età, vincolando l’accesso al lavoro con programmi volti all’istruzione scolastica, migliorando le condizioni di lavoro, la sicurezza e i salari. Il merito di queste norme è porre l’attenzione su questi problemi e creare sistemi che permettano di fare dei passi avanti migliorando la cultura e la qualità complessiva del mercato.

di Elena Perani