Il parere di Luciano Pilotti, ordinario di economia e gestione delle imprese presso il DEMM – Dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi dell’Università di Milano
Il settore cosmetico è ancora poco internazionalizzato soprattutto nei mercati emergenti. Considerando le ridotte dimensioni delle imprese italiane in questo settore: quali sono i passi e le strategie per iniziare a internazionalizzarsi?
La prima strada da perseguire è investire sui prodotti, possibilmente creando aggregazioni di imprese intorno ai prodotti di punta integrando possibilmente progetti di R&S. L’aggregazione non deve necessariamente interessare l’assetto societario, ma può avvenire attraverso accordi commerciali di tipo non equity finalizzati alla presenza sui mercati internazionali, soprattutto quelli in crescita. Un percorso ex novo in mercati esteri diventa più accessibile se le imprese si aggregano, investendo insieme in un potenziale commerciale, creando strutture commerciali o coinvolgendo partner locali nei mercati di interesse entrando in un rapporto di continuità con il paese di entrata. Ci sono poi possibilità legate ai brand già reclamizzati a livello internazionale, rispetto a cui le PMI, essendo portatrici di elevati tassi di specializzazione, possono candidarsi a sviluppare parti o componenti di prodotti o tipologie specifiche di queste linee sviluppando la profondità della gamma offerta.
Una terza possibilità consiste nel proporsi sui mercati internazionali attraverso piattaforme globalizzate di tecnologie di prodotto e/o di processo, apportando il proprio contributo di conoscenza, di produttività e di creatività. Questi valori sono presenti nelle imprese italiane, purtroppo però le aziende sono poco propense allo scambio e all’interazione con grandi brand o con grandi piattaforme mentre la specializzazione spesso lo consentirebbe su un piano non necessariamente di svantaggio. Si tratta quindi di intercettare filiere del valore estese sviluppate a livello internazionale, individuare quelle più aperte ad accogliere contributi altamente specializzati e operare internamente a queste strutture per prendere contatto con i mercati più lontani per il più adeguato posizionamento o riposizionamento complessivo.
L’Italia ha visto un indebolimento del proprio manifatturiero in tanti dei comparti del Made in Italy. Il settore cosmetico può conservare la propria identità italiana pur aprendosi all’estero?
Il Made in Italy è una chiave ancora importante del nostro paese, da implementare e supportare. Le imprese devono però imparare a crescere dal punto di vista commerciale e di una ricerca e sviluppo di tipo condiviso e in particolare attraverso gli strumenti del networking. La visione eccessivamente individualistica dell’impresa è oggi il limite maggiore che mette a rischio la connotazione identitaria italiana dei prodotti con i suoi grandi potenziali. Il facile gioco di crescita per acquisizione che hanno le case estere sui brand italiani è proprio dovuto all’isolamento in cui le nostre imprese si mantengono e alla scarsa capacità del sistema-Italia di valutare i loro potenziali in modo particolare nei punti di discontinuità ossia di salto generazionale. Un potenziale che invece i player esteri sanno valutare molto bene, acquisendo così ottime imprese che poi valorizzano sui mercati. Questo è ciò che l’Italia deve imparare a fare e può farlo solo creando un sistema di relazioni di supporto sul piano tecnologico-industriale e commerciale. Per esempio sviluppando le collaborazioni con le Università per la formazione e la ricerca, con i sistemi di filiera, con specifici piani territoriali, specifiche filiere, ecc. Tutto questo si potrà fare solo acquisendo un punto di vista relazionale nel costruire piattaforme di imprese innovative e strutture di ricerca e formazione favorendo scambi e trasferimento tecnologico in cui integrare progetti e filiere, conoscenze e competenze per nuove traiettorie di innovazione. A livello di piattaforme bisogna poi individuare le priorità e orientare gli investimenti. È dall’apertura che si conserva la propria connotazione nazionale, che potrà essere salvaguardata solo lavorando a un livello superiore al singolo a tutore con logiche eco-sistemiche. In questo modo sarà possibile agganciare partner internazionali commerciali, industriali e di ricerca che possano accompagnarci nella grande sfida della crescita nei mercati globali per la valorizzazione dei nostri grandi potenziali.
di E. Perani