Aziende familiari: più strategia per cogliere le opportunità

Per essere efficaci sul mercato globale è indispensabile strutturare gli organi di governance e di management e dare sistematicità alla programmazione strategica, creando un dialogo costruttivo fra generazioni e con componenti esterni alla famiglia. Le aziende di famiglia sanno essere flessibili e geniali e costituiscono una parte importante del tessuto produttivo italiano, anche nella cosmetica. Dovranno però imparare a monitorare la propria strategia, per mantenersi efficaci in un mercato sempre più esigente e competitivo. Le riflessioni di Daniela Montemerlo, docente di Family Business presso l’Università dell’Insubria, la SDA e l’Università Bocconi e consulente di aziende familiari e di famiglie imprenditoriali italiane e straniere.

Quali sono le sfide per le aziende familiari in questa fase dell’economia?

Tra le tante sfide strategiche, un aspetto specifico per le imprese familiari riguarda la capacità di sfruttare tutte le potenzialità della propria strategia e del proprio marchio. Vi sono imprese familiari che hanno sviluppato marchi veramente forti, sia tra le aziende i cui prodotti sono rivolti al consumatore sia tra le aziende produttrici di beni strumentali. Per fare ciò occorre chiedersi in continuazione se la propria offerta è completa e se soddisfa pienamente i clienti, quali altri servizi possono essere proposti o migliorati, se ci si rivolge a tutti i mercati potenzialmente interessati, se ci sono segmenti di potenziale clientela non ancora raggiunti e per quali ragioni, se i propri punti di forza sono pienamente valorizzati. È necessario uno sforzo organizzativo per dare struttura e sistematicità ai processi di discussione, di pianificazione e di valutazione delle scelte strategiche sia in seno alla famiglia che con i collaboratori principali dell’imprenditore. In realtà, troppo spesso questi processi sono disordinati o episodici, se non del tutto trascurati, e questo comporta il rischio di perdere opportunità che potrebbero essere a portata di mano.

Non c’è il rischio per queste imprese di perdere flessibilità?

Strutturarsi ai fini della gestione strategica non significa dotarsi di sistemi di pianificazione complicati o burocratici: è importante, con un’organizzazione commisurata alle dimensioni aziendali, avere una maggiore continuità nell’analizzare il mercato e la concorrenza, nel chiedersi il perché dei propri risultati, nell’individuare i punti deboli e correggersi, riunendo con una periodicità adeguata e con riunioni ben preparate i “tavoli” della famiglia, del CdA e del management.

È necessario adeguare la governance? Esistono modelli a cui riferirsi?

Non esistono modelli assoluti, ogni impresa familiare deve studiare il proprio vestito su misura. È però necessario capire quando è opportuno darsi una struttura più organizzata. Quando l’impresa raggiunge una certa dimensione -la soglia dei 50 dipendenti è usata da taluni come un limite critico- avere sotto controllo le strategie non può prescindere da un lavoro attivo del Consiglio di Amministrazione. Organo di governance per eccellenza, il CdA nelle imprese familiari è troppo spesso più formale che sostanziale. Se per una piccola azienda l’imprenditore e la stretta cerchia familiare possono rivestire al contempo le funzioni dell’assemblea, del board e del top management, nel momento in cui l’impresa cresce è importante strutturare meglio questi organi: il CdA deve essere distinto dagli organi di gestione e lavorare sulle strategie di medio-lungo periodo.

Daniela Montemerlo.


Le ridotte dimensioni delle imprese familiari si stanno rivelando limitanti per uno sviluppo del loro business sui mercati esteri e delle attività di ricerca. Cosa manca agli imprenditori familiari italiani per essere più attivi in tal senso e superare questo problema?

Credo, anzitutto, che si faccia spesso fatica ad analizzare le intuizioni e le scelte strategiche dei fondatori e, in generale, dei predecessori, in tutta la loro profondità e ampiezza, ossia in tutti gli spazi possibili di estensione per prodotto, canale, cliente, area geografica e via dicendo. Si tratta di una difficoltà tutt’altro che banale e intrinseca della natura familiare dell’impresa. Per effettuare l’analisi in oggetto, infatti, occorre in qualche modo prendere le distanze dai predecessori: chiedendosi quali parti della loro strategia siano figlie del contesto dell’epoca e quali siano invece «senza tempo» e possano quindi fungere da base di partenza per l’applicazione a contesti diversi e, in quest’ultimo caso, chiedendosi quali adattamenti siano necessari perché l’applicazione funzioni. Ma prendere le distanze dai fondatori non è un’operazione asettica: significa mettere in discussione l’operato dei genitori e dei nonni (con i loro ritratti che in genere ti guardano -e piuttosto severamente- nella sala del consiglio di amministrazione). In secondo luogo, in questo sviluppo a 360° occorre anche una visione di crescita unitaria, unita alla disponibilità adeguata di capitali, pazienti per seguire strategie di lungo periodo ma anche adeguatamente capienti per essere pronti a cogliere le occasioni, e unita anche alla capacità di mettere le persone giuste al posto giusto. In questo ambito si colloca anche la sfida della managerializzazione, per costruire squadre capaci ed efficienti controllandole adeguatamente, in particolare nelle filiali estere.

Crescita: acquisizioni o alleanze?

«La visione di crescita deve considerare necessariamente anche le linee esterne -sottolinea Daniela Montemerlo- per acquisizioni, a cui le imprese familiari eccellenti ricorrono più spesso di quanto non si pensi comunemente, con opportunità che in questa fase di crisi sono ancor più numerose; o anche per alleanze, per cui le imprese familiari prediligono in genere altre imprese familiari come partner. Naturalmente, le due modalità non si escludono. Ma devono inserirsi in un disegno complessivo, ben fondato sulle radici ma altrettanto ben proiettato verso il futuro».

 Passaggio generazionale

È il momento più delicato per le imprese familiari, quello in cui anche le aziende più solide rischiano di vacillare. Daniela Montemerlo ci parla degli aspetti cruciali per costruirlo. «Credo che un primo elemento chiave, ed evergreen, sia la cultura della proprietà responsabile, fatta di valori e comportamenti sintetizzabili nel rispetto della famiglia e dell’azienda come entità distinte e nella valorizzazione delle persone, familiari e non, su base meritocratica. A questo proposito, un secondo elemento chiave è dato dalla capacità della generazione al comando di condividere -al suo interno e poi con i giovani- principi e regole di accesso e di carriera nei diversi ruoli che consentano ai giovani di prepararsi adeguatamente alle responsabilità aziendali e proprietarie, ovviamente rispettandone la libertà di scelta ma, qualora essi scelgano l’azienda, stimolandoli a dare il meglio anche in funzione delle esigenze e delle opportunità esistenti. Un terzo elemento è la traduzione dei principi e delle regole in azioni da pianificare in anticipo per le diverse fasi del processo di ricambio generazionale (io distinguo l’ingresso, l’inserimento, la carriera giovane e la carriera adulta, per chi lavora in azienda, nonché gli eventuali percorsi di assunzione di responsabilità in CdA, per gli altri) e da verificare periodicamente, con la flessibilità necessaria per eventuali correzioni di rotta. Un quarto elemento, lungo tutto il processo, è il dialogo costruttivo tra generazioni con impegno in prima persona di tutti: per crescere insieme, giovani e senior nei vari ruoli chiave, e non solo per preoccuparsi di chi e quando lascerà la posizione di capo azienda; l’allungamento della vita media fa della convivenza, più che del ricambio, la vera costante del processo. Naturalmente i successori devono essere scelti con attenzione, per competenze e risultati. Un quinto elemento chiave è l’esistenza di terze parti (manager, consiglieri, professionisti ecc.) adeguate e capaci di lavorare per il bene complessivo del sistema famiglia-impresa e non per interessi di parte. Ma un’altra esigenza fondamentale è la costruzione di un’alleanza solida in capo alla nuova generazione al comando una volta completato il ricambio generazionale. In particolare, molte famiglie proprietarie scelgono modelli di vertice collegiali in cui la leadership è condivisa ma il cui buon funzionamento non è scontato. In questi casi occorrono, tra l’altro, ragioni aziendali solide; complementarità e distinzione delle aree di influenza ma corresponsabilità sulle decisioni strategiche; stima reciproca; tensione all’eccellenza e capacità imprenditoriali di tutti i co-leader; comunicazione aperta e frequente, un “fronte comune” di fronte ai collaboratori… e anche di fronte al resto della famiglia; CdA efficaci di indirizzo e controllo».

 di E.Perani