La cura per riscoprirsi belli

Negli anni ‘70-80, uno dei padri della cosmetologia italiana, Paolo Rovesti, formulatore ma anche studioso di usi cosmetici e di etnologia, diceva che, nel curare la propria immagine, “ogni giorno la donna fa il capolavoro di se stessa”. Abbiamo chiesto a Emanuel Mian, psicologo e psicoterapeuta fra i massimi esperti in Italia sui disturbi dell’immagine corporea, di ragionare sul ruolo dei cosmetici e del dialogo sui cosmetici nel supportare l’autostima, nel solco del suo intervento all’evento di Kosmetica 2022 “La forma del bello”.

Da cosa dipende la soddisfazione o l’insoddisfazione rispetto al proprio corpo?
La serenità nella relazione con la propria immagine dipende da molti fattori. Ho creato un modello per semplificarla e consiste nel considerarla come la risultante di tre dimensioni fondamentali: come penso di apparire, come vorrei apparire, quindi il mio corpo ideale, e come penso che gli altri mi vedano. Se queste tre dimensioni sono ben armonizzate, non c’è insoddisfazione corporea, è più facile insomma accettare e accogliere il proprio corpo. Più queste dimensioni sono divergenti e più si tenderà ad avere una immagine di sé che genera sofferenza, con ripercussioni importanti anche sull’autostima. L’aspetto del confronto ha una sua influenza, in particolare nella percezione femminile. La maggior parte delle donne ha qualche problema con la propria immagine corporea per un fenomeno che si chiama ‘normative discontent’. Spesso sono aspetti legati al peso o, in misura minore, a una singola parte del corpo, che si vorrebbe cambiare. Il confronto con altre donne, in cui quel difetto insopportabile nel proprio corpo è invece inesistente (o percepito come tale), tende a far abbassare l’autostima, mentre nell’uomo il confronto porta a vedere gli aspetti positivi della propria immagine, lasciando l’autostima più stabile. L’immagine mentale del nostro corpo viene costruita a partire da queste dimensioni, ma c’è molto altro. Conta, per esempio, l’esperienza della famiglia e quella con il proprio corpo nei primi anni di vita sino all’adolescenza, una influenza che non solo concorre per il 60% a definire l’immagine corporea ma che può anche essere responsabile di disturbi del comportamento alimentare. Quanto si parla di diete, quanto di corpo, quanto si giudica il corpo, tanto si getta il seme dell’importanza dell’apparire. E poi, nell’adolescenza è vitale confrontarsi e rispecchiarsi con il gruppo dei pari, in primis a scuola. Avere una certa forma fisica permette di sentirsi uniformati ai propri pari, sviluppando il senso di appartenenza, che è molto importante per l’equilibrio dell’adolescente. Quando poi si cresce, l’immagine viene caricata di ulteriori aspirazioni: prestigio, fascino, espressione di ciò di cui si è capaci. Tutto questo non desta problemi se la costruzione della propria immagine parte da quanto di bello si ha ‘dentro’. A quel punto, guardando all’armonia del tutto, si è in  grado di accogliere l’unicità delle piccole o grandi imperfezioni corporee che in questo caso, diventano le nostre particolarità.

Come è cambiata e come sta cambiando l’idea di bellezza nelle giovani generazioni? E quanto vene condizionata l’immagine corporea dagli schemi e stereotipi della società?
Fino agli anni ’50-60, l’immagine femminile a cui più si aspirava era la donna ad anfora, con forme pronunciate, ben rappresentata da Sophia Loren. Dagli anni 2000, questo modello sta un po’ tornando, Beyoncé ne è un esempio. Negli anni ’70-80 si è invece affermato il modello di un fisico magro o magrissimo. Più siamo esposti a un modello e più lo interiorizziamo, diventa familiare e influenza l’idea del bello. Il modello di magrezza estrema, quella di alcune modelle, è però scarsamente raggiungibile. Rappresenta infatti il 4-5% della popolazione mondiale, ma il restante 95% non può avere un corpo di quel tipo senza minare la salute, spesso irrimediabilmente.
Se il modello prevalente è quello, si ha difficoltà ad accettarsi, si tenderà a vedersi sbagliate o brutte. Nei disturbi dell’ immagine corporea, il passaggio è: se sarò bello avrò una chiave di accesso alla felicità e al successo, un corto circuito del tipo “sono bello quindi valgo”. È un modello di pensiero un po’ anni ‘80-90. Il problema del perseguire un certo tipo di perfezione è perdere di vista quello che c’è dentro, limitarsi solo all’apparire, anche per sfuggire a qualcosa che al proprio interno non va. Un problema di immagine corporea si attenua lavorando sul ricomporre l’unità mente e corpo, o meglio interiorità/esteriorità, dimensioni che devono andare di pari passo. Nei disturbi alimentari il problema è ancora diverso, non è estetico o non solo estetico. Nessuna ragazza affetta da anoressia nervosa, ad esempio, vuole diventare ‘bella’ nel senso puramente estetico del termine. Vuole essere magra perché in questo modo sfuggirà al giudizio, al sentirsi sbagliata, ed eviterà l’emozione della vergogna. Ovviamente ogni caso è un caso a se stante e per i disturbi alimentari, quanto per quelli dell’immagine corporea è presente una molteplicità di fattori che scatenano e mantengono la problematica.

Quale ruolo hanno i cosmetici nel supportare l’autostima nei confronti della propria immagine?
Il cosmetico certamente aiuta ad aumentare l’autostima, perché aiuta a mettere ordine, come suggerisce l’etimo della parola, da ‘kósmos’, ordine. L’ordine mette tranquillità. Nelle persone che hanno problemi con l’immagine corporea, che non è solo corporea ma ha a che vedere con tutto ciò che riguarda il corpo, nel volto, nelle simmetrie, nella qualità della pelle, nell’odore corporeo ecc., tutto ciò che fa stare meglio va a migliorare il rapporto con se stessi e i rapporti sociali.
Il make up mi sembra particolarmente valido per valorizzare i punti di forza e diversificarsi dagli altri nonché per nascondere i difetti. Lo vedo in molte ragazze: permette di stare in mezzo agli altri senza il timore di giudizi. L’acne per esempio dà molti problemi, ma un buon make up ne nasconde i segni quanto basta a permettere di fare servizi fotografici, di sentirsi a proprio agio nella vita quotidiana, sentirsi più belle quando si va ad esempio a ballare. E questo vale sempre di più anche per i ragazzi. Questo uso del cosmetico è estremamente tranquillizzante rispetto ai timori legati a ciò che tecnicamente si chiama “lettura del pensiero”, cioè proiettare negli occhi dell’altro un timore legato alla nostra immagine ed ai difetti che in noi vediamo e che ci fanno soffrire. È quello che a volte si sperimenta quando si ha una macchia su una parte esposta di un vestito: se siamo in una situazione in cui può risultare sconveniente, questa piccola macchia può occupare i nostri pensieri, deconcentrarci da quello che stiamo facendo: potremmo pensare che chi è di fronte a noi abbia notato la macchia, e ci possa per questo giudicare. E magari l’altro neanche ci pensa, ma il solo fatto che lo possa fare crea una escalation di pensieri intrisi d’ansia che si traduce in una condizione di disagio più o meno pronunciata a seconda di quanto ciò è importante per noi. Ma se il difetto è coperto e sono certo che nessuno la vede, ecco che tutta questa escalation potrebbe affievolirsi al punto da permettere di rapportarmi agli altri e svolgere le mie attività con serenità.

I cosmetici sono oggetto di un importante flusso di discussione, per esempio sui social e sul web, attraverso cui si trasmettono informazioni e giudizi sui prodotti ma anche tendenze, modelli estetici, percepito della realtà e paure: che impatto ha tutto questo sul rapporto con la propria immagine?
Ci sono blogger che insegnano come truccarsi, cosa utilizzare per avere un certo effetto, ecc. Secondo me, tutto ciò che ci insegna qualcosa di nuovo e che ci sembra utile a migliorare la nostra immagine e come ci percepiamo è positivo. Molto si può imparare dai tutorial, sono un mezzo interessantissimo che contribuisce ad alleviare certe solitudini che talvolta possono colpire alcuni giovani. Ben venga quindi questa attività di insegnamento via web, che deve però evitare di invadere ambiti professionali specifici, soprattutto di tipo medico o psicologico, con il rischio di fornire informazioni fuorvianti o incomplete. Ma nel momento in cui forniscono quel suggerimento che permette di valorizzarsi e di sentirsi meglio, vedo qualcosa di molto positivo che trova riscontro nella mia professione: le ragazze sono truccate in modo molto personale, sono tutte diverse, ci sono visi acqua e sapone che sono frutto di un trucco molto raffinato e studiato. Questi gesti di cura di sé sono anche scoperta di sé e possono condurre ad accettarsi, a piacersi, a riconciliarsi con la propria immagine e a riscoprirsi con curiosità.

Vede un ruolo del dialogo intorno a questi prodotti nel supportare il superamento di certi modelli di bellezza stereotipati? Oppure si tende a confermarli? Le aziende infatti partecipano a questo dialogo con la propria comunicazione di prodotto, con i modelli che propongono e sono chiamate a un senso di responsabilità nei confronti dei messaggi che lanciano…
La bellezza nel significato della kalokagathia del greco antico ‘ciò che è bello è anche buono’ non deve essere intesa o proposta in senso letterale, come ideale di perfezione, perché non è sostenibile né raggiungibile. Il tema è la bellezza come autenticità. Autentico è mettersi in una disposizione costruttiva e positiva anche nei confronti dei propri difetti, per esempio con l’idea di migliorarli, se lo si ritiene importante, ma senza l’idea del giudizio. Oggi si parla di body positivity e di body neutrality, ma il non voler essere giudicato per i propri difetti fisici non significa che sia giusto trascurarsi. La cura di sé è qualcosa che fa bene, è legata al senso del rispetto per il proprio corpo che è la sede di noi stessi, se vogliamo, dell’anima. Per fare una metafora è come se ti chiedessi quale auto vorresti sapendo che rimarrà tua per tutta la vita e non potrai averne nessun’altra.
Cosa faremmo se potessimo avere una sola vettura per tutta la vita? Credo che la tratteremmo il meglio possibile. La bellezza sta soprattutto nella cura e in questa logica sta anche il valorizzare i propri punti di forza. Anche la proposta di modelli dovrebbe muovere verso una autenticità più che verso un modello estetico uniformato da perseguire, dovrebbe far sentire le persone delle mosche bianche e non delle pecore nere. Sentirsi belli è più importante che esserlo e molto dipende dalla focalizzazione che ci si pone, sull’esterno o sull’interno. Molte persone con problemi verso la propria immagine corporea sono in realtà gradevoli di aspetto, nel mondo della moda succede spesso, perché delle migliaia di pazienti che ho incontrato nella mia pratica clinica, un buon 40% lavora nel settore fashion. Per contro, persone colpite da problemi funzionali o con gravi ustioni non si preoccupavano del loro aspetto ma di riprendere la funzione perduta. La bellezza è dentro di noi, e sarebbe interessante iniziare a parlare di come farla affiorare all’esterno e soprattutto a riconoscerla noi per primi.