Prodotti innovativi per modelli di consumo sostenibili

Chiara Mio, Ordinario presso il Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari, dove insegna Pianificazione strategica e management della sostenibilità

Perché è opportuno che le imprese, anche PMI, non rimandino l’impegno verso la transizione ecologica?
Adottare una strategia di sostenibilità e porsi concreti e rilevanti obiettivi di neutralità climatica è indispensabile non solo per motivi etici ma per fondamentali ragioni di business. Innanzitutto, il mercato lo richiede: il consumatore è sempre più attento alle performance ambientali del prodotto e anche a come il prodotto viene realizzato, distribuito, comunicato. Questo vale a maggior ragione per le aziende conto terzi, perché gli attori con cui si interfacciano, sia brand sia distributori, che hanno contatto diretto con i consumatori, chiederanno sempre di più ai propri partner produttivi una strategia di sostenibilità, perché non saranno disposti a portare a scaffale prodotti poco attenti a questioni sociali e ambientali. Fornitori di grandi corporate, soprattutto se PMI, rischiano di rimanere esclusi dalla filiera se si fanno trovare impreparati, visto che, ormai, per i grandi attori la sostenibilità è un must. C’è poi la richiesta del mondo finanziario: le banche infatti già da quest’anno devono dotarsi di misuratori ESG (Environmental, Social and Governance) per concedere il credito, come loro richiesto dalle Linee guida EBA, che hanno messo a punto indicatori per valutare l’impegno delle aziende al fine di stabilire se e a quali condizioni erogare il credito. La European Banking Association, infatti, considera meno rischiose le aziende più sostenibili, che possono quindi fornire maggiori garanzie sul rimborso del credito erogato. Le aziende, piccole o grandi, dovranno dunque disporsi a rispondere in merito al proprio profilo di sostenibilità se vogliono accedere al credito. Un ulteriore argomento riguarda le risorse umane: i giovani, in particolare i Millennial ma soprattutto la Gen Z, preferiscono trovare impiego nelle realtà con miglior profilo di sostenibilità. Se un’azienda intende essere attrattiva per giovani preparati e all’avanguardia deve offrire un contesto che sappia parlare anche di sostenibilità. A tutto questo si aggiungono l’evoluzione del quadro normativo europeo, che spinge in modo sempre più deciso per la transizione ecologica, e aspetti di tipo etico che possono motivare gli imprenditori.

Prof. Chiara Mio – Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari

Come dovrebbero agire le aziende per orientarsi alla sostenibilità in misura coerente agli obiettivi UE?
Una premessa basilare è chiarire la differenza fra sostenibilità, CSR e charity, perché ancora oggi c’è grande confusione fra le imprese. Charity significa fare donazioni, sostenere iniziative benefiche attraverso l’elargizione di somme o altri tipi di beni. Si tratta di azioni pregevoli che, tuttavia, non spostano le diseguaglianze del pianeta, le cause del degrado ambientale, non incidono quindi sui meccanismi all’origine delle questioni sociali, ecologiche, climatiche. Questo significa che, per quanto lodevole, si tratta di beneficienza e non di sostenibilità, rispetto a cui è molto meno ambiziosa. Passando alla responsabilità sociale di impresa (CSR), è riferita a un insieme di pratiche grazie a cui le aziende promuovono una diversa distribuzione del valore creato, con una partecipazione migliore delle risorse umane e una attenzione al vantaggio per i propri addetti che va oltre gli obblighi contrattuali. Questo avviene per esempio erogando formazione, migliorando il life balance, promuovendo iniziative a favore della famiglia, supportando l’assistenza sanitaria dei dipendenti e qualsiasi altro servizio che integri il pacchetto remunerativo. Inoltre, la CSR può essere rivolta al territorio, contribuendo localmente ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione, dalle scuole, dall’università, ecc. Analogamente la CSR può essere rivolta all’ambiente, che le aziende, sentendosi parte del contesto locale, possono responsabilmente impegnarsi a preservare, bonificare, migliorare. Charity e CSR sono le forme di impegno più diffuse tra le aziende, ma non sono sostenibilità. Quest’ultima infatti implica un cambiamento del modello di business che porta a proporre prodotti/servizi che devono essere di nuova concezione. Nel rispettare l’ambiente, il prodotto deve tendere alla minimizzazione dell’impatto anche nell’uso delle risorse e deve, inoltre, essere accessibile per ampi segmenti del mercato, sia in termini di prezzo sia di disponibilità. Le aziende sostenibili si appoggiano su una piattaforma tecnologica molto forte, utilizzano la migliore tecnologia e conoscenza e ciò permette di diffondere molti benefici su larga scala. Inoltre la sostenibilità richiede che si instauri una stretta collaborazione pubblico-privata sul piano dell’education.

Come dovrebbe essere interpretata la sostenibilità del cosmetico?
L’approccio della sostenibilità richiede di valutare, misurare e ridurre l’impatto del prodotto e del suo packaging, ma deve comprendere anche una riflessione più ampia sull’uso del prodotto e sul senso del prodotto, al fine di cambiare modello di uso. Un esempio dal mondo dell’automotive rende chiaro questo concetto: l’auto elettrica non è la soluzione più sostenibile in assoluto al problema della mobilità individuale, perché non costituisce un cambio di paradigma, ma semplicemente traspone in chiave un po’ meno inquinante la stessa modalità del passato. Le automobili hanno costi ambientali altissimi per la produzione, il mantenimento, la gestione, gli spazi occupati perché il modello è quello della proprietà, che moltiplica le auto in circolazione con una bassa intensità di utilizzo. Se il problema è garantire la mobilità individuale, il modello della condivisione risulta molto più efficiente, massimizzando l’utilizzo di pochi veicoli, a patto che sia reso accessibile per tutti. Per ogni prodotto/servizio servirebbe sviluppare modelli alternativi di utilizzo, che pongano al centro i rispettivi bisogni per cercare soluzioni efficienti atte a soddisfarli.

Sta dicendo che devono cambiare i modelli di consumo?
Tutti devono fare la propria parte nella transizione ecologica, anche il consumatore. Serve uno sforzo pubblico-privato per razionalizzare tutti i consumi e le produzioni. Non c’è azienda sostenibile se non c’è un consumatore sostenibile. Le aziende devono rivoluzionare le proprie proposte, i consumatori devono capire che si possono mantenere stili di vita dignitosi senza sprecare risorse. Sul piano della riduzione degli sprechi, l’economia circolare è uno strumento importante, ma non è risolutivo se non si cambiano i modelli di consumo. Oggi il problema della sostenibilità, inteso appunto come rallentamento nello sfruttamento di risorse non rinnovabili, pone grandissime sfide sociali. Moltissimi prodotti, per esempio, sono sottocosto perché si basano su filiere in cui la risorsa umana o l’ambiente non vengono rispettati: non è solo questione di circolarità, questo tipo di business model deve cambiare. Avviare questo cambiamento non è semplice. Il punto di partenza è considerare il prodotto dalla culla alla tomba, o meglio in logica circolare dalla culla alla culla, quindi analizzare i costi sociali e ambientali di tutte le filiere di fornitura, dei trasporti, distribuzione, fase di utilizzo e dello smaltimento o recupero nel fine vita, con la consapevolezza che è necessario ripensare e innovare tutte queste fasi. L’aspetto positivo è che adesso esistono strumenti e database per misurare tutti questi impatti.

Con quale urgenza è necessario orientarsi a modelli sostenibili, per un’industria come quella cosmetica che vede una domanda di cosmetici in piena espansione a livello globale?
Le aziende che investono in sistemi organizzativi e produzioni sostenibili hanno un vantaggio competitivo e anche la crisi pandemica lo ha dimostrato. Per esempio, chi aveva già avviato pratiche di smartworking si è trovato più pronto ad affrontare il lockdown rispetto a chi era rimasto legato a una organizzazione rigida del lavoro dipendente. Analogamente, chi già si appoggiava a filiere locali ha retto il blocco dei trasporti con meno difficoltà. Le aziende dovrebbero quindi proiettarsi in un futuro in cui il saper soppesare e ridurre i costi ambientali e sociali avrà sempre maggiore importanza, perché, per quanto le vecchie abitudini resistano, le cose sono già cambiate e i rischi associati a scelte poco sostenibili sono più elevati perché tutto il contesto muove nella direzione opposta. La singola azione, il progetto isolato o il report di sostenibilità non sono sufficienti. C’è da fare invece una riflessione strategica, in cui l’azienda deve immaginare a che punto sarà fra 5-10 anni, quando tutti gli aspetti di sostenibilità saranno ancora più importanti rispetto ad oggi, diventando ineludibili per poter stare sul mercato. Si tratta di una evoluzione che non può essere affrontata da un momento con l’altro. È importante porsi adesso la domanda: “il mio portafoglio prodotti funzionerà ancora fra cinque anni?” Questo è il momento in cui mettere mano ai prodotti e anche a come vengono fabbricati, senza nulla togliere alla parte ludica che il cosmetico deve avere, ma reinventandola. È una sfida che già diverse aziende e brand hanno raccolto, proprio portando nei prodotti e nei negozi quegli aspetti innovativi che, nel rivoluzionare il modello di business, conciliano sostenibilità e successo.