Passare dalle parole ai fatti, nel promuovere approcci sostenibili, significa investire nello sviluppo prodotti e nel cambiare le tecnologie produttive, ma anche nel comunicare con i consumatori. Chi farà oggi questa scommessa potrà però contare su un crescente interesse del mercato. Il panorama della cosmesi a base vegetale diventa ogni giorno più ricco e variegato, sotto la spinta di un interesse sempre più forte dei consumatori, che esprimono una predilezione per gli ingredienti di origine naturale e un’attenzione per gli aspetti legati alla sostenibilità del prodotto. In questo filone, il cosmetico certificato si pone l’obiettivo di dare trasparenza a un mercato in cui non mancano operazioni di puro marketing e di greenwashing. L’evoluzione e le problematiche di questa nicchia nelle riflessioni di Alessandro Spadoni, che in ICEA, Istituto per la certificazione etica e ambientale, è responsabile per la cosmesi bioecologica.
Quali sono i progressi tecnologici più significativi nel campo del cosmetico ecologico?
Dal punto di vista dei processi produttivi, la tecnologia delle emulsioni a freddo è certamente uno dei risultati più rilevanti, che permette di ridurre l’indice carbon footprint fino a dieci volte rispetto alle emulsioni tradizionali a caldo. Sono supportate da emulsionanti particolari, oggi disponibili anche nel mercato del biologico. Il risparmio in termini di energia riduce i costi produttivi, compensando il costo maggiore degli emulsionanti specifici, con un bilancio decisamente positivo, non solo in termini ecologici ma anche in termini economici. Un secondo aspetto riguarda gli ingredienti. L’offerta di materie prime di derivazione vegetale si è moltiplicata; inoltre si è ampliata la disponibilità di ingredienti di sintesi che hanno un minore impatto ecologico sia nel fine vita sia nei processi produttivi.
In quali termini la cosmesi bioecologica ammette l’ingrediente di sintesi?
Il senso del cosmetico bioecologico non è solo il suo contenuto in ingredienti naturali. Anche gli ingredienti chimici possono essere più sostenibili se vengono prodotti secondo determinati criteri, che sono stati riassunti nei principi della Chimica Verde. Questo approccio esclude ingredienti inquinanti o comunque poco sostenibili, per origine o per procedimento produttivo, sviluppando sostanze e processi a minore impatto. Ad esempio si cerca di trovare sostituti ai derivati petrolchimici. Non si tratta di un’ideologia, ma di costruire una chimica che guardi al domani e che sappia dare risposte efficaci alle sfide dei problemi ambientali del pianeta. È anche un’occasione per promuovere l’innovazione e la competitività della chimica, che oggi trova molti sostenitori proprio nel mondo dell’industria.
C’è attenzione da parte delle aziende cosmetiche a questi approcci innovativi?
Purtroppo è ancora piuttosto raro, anche se si osserva un aumento della sensibilità. Ad esempio, ancora non è entrato nella routine l’utilizzo dello strumento del LCA (Life Cycle Assessment), per la valutazione dei prodotti e per confrontare diverse soluzioni sotto il profilo della sostenibilità, in fase di sviluppo prodotto. Inoltre, per l’ingredientistica si ricade ancora in scelte in gran parte convenzionali, che non tengono conto della straordinaria disponibilità di ingredienti innovativi che permettono di sostituire molte materie prime a basso profilo quanto a sostenibilità. È il caso, ad esempio, dei conservanti, con la possibilità di escludere i parabeni e i ben più problematici cloro-tiazolinoni e derivati del bromo. Al loro posto è possibile avvalersi di complessi enzimatici, di estratti vegetali e di packaging tecnologici che permettono di abbattere il rischio di contaminazioni, come i contenitori airless. Anche gli ingredienti di origine petrolchimica, che cinquant’anni fa erano irrinunciabili, oggi possono essere messi da parte. Gli stessi standard del biologico vengono adeguati in risposta alle disponibilità di ingredienti più sostenibili: ad esempio, il fenossietanolo, conservante tradizionale ancora ammesso, è già escluso da alcuni disciplinari recenti come il Cosmos; la sua esclusione è in discussione anche in ICEA.
Cambiare l’ingredientistica richiede investimenti, non facili in questa fase…
Si tratta però di innovazioni che, per il successo con cui vengono accolte, diventeranno sempre più presenti: adottarle rapidamente rappresenta un importante volano di competitività. Come proporsi al mercato è una scelta delle imprese, che si trovano al bivio fra optare per la cosmetica del futuro o continuare a fare la cosmetica degli anni ’50. Inoltre, le aziende possono avere un ruolo primario per modificare la sensibilità dei consumatori, già molto acuta sui temi della sostenibilità, attraverso un impegno concreto e abbandonando le logiche di greenwashing che, seppur presenti, avranno vita breve nell’evoluzione di questo mercato.
Alcuni ingredienti naturali di provenienza esotica sono in discussione quanto a sostenibilità: quali sono le risposte dei disciplinari del bioecologico?
Le materie prime esotiche sono molte. Per alcune, come l’olio di palma, la richiesta è enorme e si pongono problemi di sostenibilità, legati al sovrasfruttamento della risorsa, al degrado degli habitat naturali originari oppure alle condizioni dei lavoratori. I disciplinari ancora non contemplano specificamente questo aspetto. C’è infatti un certo tempo fra la presa di coscienza di un problema e l’aggiornamento del disciplinare, che media fra l’urgenza di introdurre ulteriori criteri e le esigenze delle imprese aderenti di adeguare i prodotti. Nel caso dell’olio di palma, ICEA ha introdotto un disciplinare specifico che ne certifichi la provenienza sostenibile, l’unico in Italia per questo aspetto. Purtroppo è ancora poco seguito, in parte perché il consumatore italiano non ha la percezione dei problemi di sostenibilità ambientale legati alla coltivazione della palma. Inoltre perché è necessaria un’evoluzione che riguarda la filiera a monte, con un impegno delle multinazionali, che dovranno introdurre nuovi standard produttivi e controllare che i fornitori locali siano in grado di garantirli. Al di là dei disciplinari, alcune imprese, soprattutto all’estero, sono coscienti del problema e si impegnano a trovare fonti sostenibili, un esempio dell’importante ruolo dei produttori per promuovere un approccio etico al business.
CERTIFICAZIONI: IL BOLLINO NELLA PERCEZIONE DEL CONSUMATORE
Mentre nel settore alimentare è ormai una realtà consolidata, per i cosmetici il bollino del biologico rimane poco conosciuto dal pubblico. «La comunicazione della certificazione è un problema su cui lavorare -commenta Alessandro Spadoni.- Da parte delle aziende produttrici, osserviamo che la strategia è spesso avere un portafoglio prodotti ampio che comprenda linee biologiche, anche certificate, create più per questioni di immagine e per agganciare questa nicchia di mercato in crescita che per promuovere un cambiamento su larga scala, visto che gli investimenti pubblicitari sono concentrati sui prodotti convenzionali. I media potrebbero fare di più, stimolati da organismi e associazioni che abbiano a cuore la riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti di consumo». Accanto al problema di comunicazione c’è il problema del prezzo. «Molto spesso il prezzo al pubblico del prodotto biologico è troppo elevato rispetto al suo reale valore e ai costi produttivi. Secondo un’indagine Nomisma presentata nel 2013, il consumatore è disposto a pagare fino al 20-25% in più per il prodotto biologico, ma spesso i prodotti costano fino al 200% in più rispetto a quelli convenzionali, un prezzo al pubblico troppo elevato, soprattutto per i cosmetici di base, che ne disincentiva l’interesse».
DIFFUSIONE DEL COSMETICO BIO: RUOLO DELLA GRANDE DISTRISTRIBUZIONE
Il consumatore è certamente più sensibile al tema della sostenibilità, ma deve fare i conti con la mancanza di informazioni. «Un’indagine Nomisma indica che il 91% dei consumatori comprerebbe i cosmetici biologici ma non sa della loro esistenza o dei canali in cui trovarli –riporta Spadoni.- Oggi, tuttavia, alcune catene discount iniziano a proporre cosmetici bio a costi ragionevoli. Sono ancora esempi rari, ma la presenza del biologico nella grande distribuzione è importante per migliorare la conoscenza e l’accesso presso il grande pubblico di questi prodotti. Peraltro c’è un ruolo della GDO anche nell’orientare le strategie di posizionamento verso prezzi più contenuti».
di E. Perani