Il trasferimento tecnologico è l’anello essenziale per portare sul mercato i risultati della ricerca innovativa. In un sistema italiano ancora non del tutto strutturato, il mondo cosmetico vede una situazione in divenire, che ruota attorno a progetti di collaborazione fra università e imprese, alle aggregazioni di filiera, alle spin off focalizzate sulla ricerca cosmetica, in cui ancora non si osserva una continuità. «Le aggregazioni di filiera -considera Luca Nava dell’area Tecnico-normativa di Cosmetica Italia -sono uno strumento potenzialmente utile, già presente nel panorama della cosmetica italiana. Al momento si osserva una certa fatica nel concretizzare i progetti, spesso dovuta alle complicazioni burocratiche di adesione ai bandi di finanziamento. A volte queste iniziative hanno limitato successo a causa di una resistenza delle imprese a collaborare all’interno di forme aggregative, nel timore di favorire i concorrenti diretti. Questa è però una mentalità che dovrebbe essere superata, perché la possibilità di sviluppare innovazione è legata alla capacità di lavorare insieme. Il know-how e le tecnologie acquisite potranno poi essere sfruttate dai diversi attori secondo la propria capacità di sviluppo di prodotti. Oggi il fronte della competizione si è spostato, per cui è necessario iniziare a lavorare come sistema per potenziare la nostra competitività sui mercati esteri. Questa logica, applicata all’internazionalizzazione, è potenzialmente vincente: l’industria cosmetica deve migliorare proprio nella capacità di fare massa critica, per lavorare in modo efficace con gli enti di ricerca, accedere ai finanziamenti che l’Europa mette a disposizione per l’innovazione e presentarsi sui mercati esteri in crescita».
Il contatto fra attori della filiera e della ricerca, la reciproca conoscenza e scambio sono alla base del consolidamento di quello che potrebbe diventare un sistema. A questo proposito riflette Elena Ugazio ricercatrice in cosmetologia presso il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino «guardando al settore cosmetico italiano, fatto di PMI non ancora abituate a lavorare in collaborazione con enti di ricerca, credo sia molto importante che ci siano occasioni di reciproco contatto: utili e accessibili anche in momenti di crisi sono le iniziative fieristiche, workshop e congressi organizzati dalle associazioni scientifiche o di categoria, a cui sempre più spesso partecipano gli istituti universitari attivi nella ricerca cosmetologica. Ci sono inoltre finanziamenti per costruire progetti che avvicinino l’università e l’industria, proprio per promuovere il trasferimento tecnologico. Sono però convinta che la continuità del contatto fra università e impresa sia un elemento chiave e questo avviene portando avanti progetti anche piccoli ma ben costruiti, per intraprendere insieme un percorso di innovazione che nel tempo può diventare più articolato e arrivare a impegni più consistenti e ambiziosi». Secondo Carla Villa, ricercatrice e docente del Dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università di Genova, l’università ha un ruolo fondamentale, sia nel mettere a disposizione competenze multidisciplinari sia nel funzionamento del sistema «se devo trovare un ruolo all’università, penso a un ruolo di coordinazione: creare le condizioni, concertare gli eventi ed elaborare tutte le risposte perché gli strumenti a disposizione funzionino al meglio, anche su grande scala».
Gli Uffici per il trasferimento tecnologico nelle università
Il problema del trasferimento tecnologico passa attraverso la tutela e lo sfruttamento della proprietà intellettuale. Secondo il rapporto Netval 2013, redatto dal Network per la valorizzazione della ricerca universitaria, oltre il 93% degli atenei italiani ha creato Uffici per il Trasferimento tecnologico. Gli obiettivi istituzionali che questi UTT si sono dati sono in primo luogo gestire in modo appropriato i risultati della ricerca; altre priorità sono il generare risorse aggiuntive per l’università e ricadute sull’economia della regione di appartenenza. Tra le funzioni svolte, la gestione della proprietà intellettuale è la più diffusa, seguita dall’attività di supporto alla creazione di spin-off, svolta nel 90% dei casi. Un’altra funzione svolta da oltre il 75% degli UTT è l’attività di licensing, mentre il 43% degli UTT cura la gestione di contratti di ricerca e collaborazione con l’industria. Del campione di 50 università coinvolte nell’indagine, nel 2011 circa il 44% partecipa a un parco tecnologico e quasi il 43% a un incubatore d’impresa, ma la gestione dei parchi tecnologici rientra solo raramente nei compiti degli UTT.
Per quanto le università siano attive nella brevettazione, ancora i brevetti non generano flussi economici e di innovazione sufficienti e gli atenei faticano a sostenere le spese di mantenimento. Il nodo è il perfezionamento di un sistema che crei una imprenditorialità science-based che sia attrattiva per investitori e manageralità, quindi in grado di ottenere dallo sfruttamento dell’invenzione e della ricerca innovativa ricadute economiche adeguate a rilanciare il sistema, che richiede un impegno congiunto e sistematico di enti di ricerca, istituzioni e imprese.
di E.Perani