Il Regolamento 655/2013 ha trovato accoglienza positiva presso tutti gli attori del mondo cosmetico che reclamano una comunicazione più trasparente. Tra questi SiCC – Società Italiana di Chimica e Scienze cosmetologiche, che nell’ottica di promuovere questo approccio ha creato il Cosmetic Award, premiando ogni anno le aziende che propongono una comunicazione di prodotto improntata alla correttezza. Sicc condivide i principi ispiratori del regolamento sui claim cosmetici ma sottolinea gli aspetti ancora da definire, come l’uso dei messaggi “non contiene”, non vietati ma da usare nel rispetto dei criteri comuni sanciti dal Regolamento 655. Simona Giogilli, Honorary Secretary di SiCC, mette in guardia sulle affermazioni più insidiose e su possibili usi scorretti.
Quali tipi di dichiarazioni richiedono particolare attenzione nella comunicazione di prodotto?
L’uso di frasi come quelle del tipo “non contiene” richiede cautela. Stiamo discutendo le modalità di un loro utilizzo corretto: se è vero che in alcuni casi possono orientare meglio alcune tipologie di consumatori, per esempio i soggetti allergici o con particolare sensibilità cutanea, in molti utilizzi questi claim ottengono di allarmare i consumatori rispetto a ingredienti che in realtà sono consentiti in quanto giudicati sicuri da enti autorevoli come i Comitati Scientifici della Commissione. Sicc ritiene che queste affermazioni non debbano ingenerare confusione e allarmi ingiustificati tra i consumatori. L’informazione che forniscono non deve avere quindi contenuti allarmistici, che poi vediamo rimbalzare su internet in modo incontrollato e falso, come accade per le campagne contro gli SLES o i parabeni. Il claim «paraben free», tutt’oggi molto usato, considerando i principi individuati dal Regolamento 655, in particolare il criterio 5 che sancisce la correttezza, non dovrebbe trovar luogo laddove abbia implicazioni denigratorie verso questi ingredienti. Sempre secondo il Regolamento, dovranno sparire i claim tipo «microbiologicamente testato», in quanto non è consentito reclamizzare proprietà legate ai requisiti minimi di legge. Un altro aspetto riguarda per esempio il green washing nell’utilizzo dei claim “naturale” e “bio”: si attende lo standard ISO, ma nel frattempo, anche per questa comunicazione l’invito di Sicc è alla massima attenzione. È giusto comunicare la scelta “bio”, ma questa comunicazione non deve denigrare i prodotti che “bio” non sono. La veridicità è invece il problema di tanta comunicazione sulla presenza di ingredienti naturali: al di fuori infatti dei riferimenti agli standard privati, che sono pubblicati quindi almeno in teoria accessibili al consumatore, troppo spesso questi claim vengono utilizzati in modo ben poco veritiero.
E quanto ai messaggi iperbolici?
I claim iperbolici non sono diminuiti. Le aziende stanno cercando di capire cosa fare; la situazione non potrà cambiare da un giorno con l’altro. Il claim iperbolico non è supportabile nella realtà, viene passato come una rappresentazione dell’informazione, un sogno, e per tale dovrebbe essere raccolto. Le iperboli sono efficaci per veicolare concetti che altrimenti sarebbero di difficile comprensione o poco abbordabili dal consumatore medio, il problema è lasciare a intendere che sono enfatizzazioni e non vanno prese alla lettera. Se si comprova l’efficacia di una crema anticellulite andando a misurare gli effetti sul microcircolo è un lavoro corretto, che però non sarà di grande impatto se comunicato in questi termini al consumatore. Ricorrerò allora all’immagine del centimetro per sottolineare l’effetto, ma la correttezza della comunicazione sta nel far capire al consumatore che si tratta di una “figura retorica”, altrimenti la comunicazione risulterà ingannevole. Analogamente per i risultati comunicati in percentuali: per il consumatore sono intuitive mentre non arriverebbe a comprendere un’analisi statistica, ma ovviamente lo studio che sta dietro a quelle percentuali sarà di tipo scientifico, quindi con risultati valutati attraverso un’analisi statistica. Proprio perché l’iperbole non può essere supportata al 100% va utilizzata con attenzione, per conseguire il giusto obiettivo di offrire al consumatore un’informazione che altrimenti sarebbe per lui inaccessibile, senza però essere ingannevoli.
Come vedete la percezione del consumatore?
La percezione del prodotto è confusa. Anche l’informazione degli addetti alla vendita è spesso approssimativa, poco rilevante e talvolta poco chiara. I consumatori arrivano a percepire al massimo le sostanze vietate; inoltre, sono molto sensibili a qualsiasi tipo di allarme. Sul naturale, per esempio, si travisa il fatto che la presenza dell’ingrediente naturale non cambia la «natura industriale» del cosmetico. Oggi ancora il consumatore non è educato a un acquisto davvero informato. Fare ulteriore chiarezza è certamente la sfida per tutti gli operatori in questo settore. Il Regolamento 1223/2009 ha fornito alcune indicazioni volte per esempio a migliorare l’utilizzo corretto del prodotto, ma la strada da fare è ancora lunga.
ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI CRITICHE VERSO IL CLAIM “NON CONTIENE”
Eden Lorenzetti, Area Salute – Centro di competenza alimentazione & salute di Altroconsumo
La nostra posizione nei confronti di questo tipo di comunicazione è sempre stata e rimane critica. Il claim del genere “free of/senza” induce nella mente del consumatore che il “senza” faccia rima con migliore qualità. Ciò fornisce un’informazione erronea e incompleta e non permette un acquisto consapevole. Non è l’assenza di un singolo ingrediente o classi di ingredienti (che il trend del periodo demonizza) a fare la bontà di un prodotto.
di E.Perani