Il REACH per gli utilizzatori a valle

Il REACH (Regolamento (CE) 1907/2006) racchiude un insieme di disposizioni che hanno la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’uomo e dell’ambiente e che comprendono le procedure di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche. La registrazione, che ha avuto e sta avendo il primo impatto diretto sull’industria chimica, richiede a ciascun produttore e importatore di registrare ogni sostanza che produce o importa in quantità pari o superiore a una tonnellata/anno, salvo i casi in cui si applichino esenzioni specifiche. Abbiamo intervistato Francesca Bernacchi, Area Tecnico-normativa di Cosmetica Italia.

Come si intrecciano gli obblighi di REACH e CLP con particolare riferimento alle novità introdotte dalla registrazione delle sostanze?

Per registrare una sostanza è necessario inviare all’ECHA (European Chemicals Agency), dietro il pagamento di una tassa definita, un dossier contenente una serie d’informazioni, tra cui le proprietà intrinseche della sostanza (chimico-fisiche, tossicologiche ed ecotossicologiche), e la classificazione ed etichettatura. Il REACH detta anche le regole per trasmettere le informazioni sulle sostanze e sulle miscele nella catena di fornitura, in particolare stabilendo il formato e i contenuti delle schede dati di sicurezza, obbligatorie per la fornitura di sostanze e miscele classificate come pericolose. Per contro il CLP (Regolamento (CE) 1272/2008) stabilisce i criteri per classificare le sostanze e le miscele, nonché le norme per etichettare e imballare quelle che risultano pericolose, andando così a complementare il REACH nelle informazioni da trasmettere nella supply chain. A differenza del REACH, il CLP si applica a tutte le sostanze e miscele senza soglia di tonnellaggio. Questo aspetto richiede particolare attenzione in caso di produzione o di importazione di sostanze e miscele anche in quantitativi minimi: il CLP detta un obbligo di classificazione e, se la sostanza o miscela risulta pericolosa, prevede norme per l’etichettatura e l’imballaggio. Inoltre, il CLP richiede un obbligo di notifica delle classificazioni ed etichettature all’ECHA, quando si importano o producono sostanze pericolose e quando si importano sostanze pericolose contenute in miscele in quantità tali da determinare la classificazione della miscela. Infine, quando si immettono sul mercato miscele classificate, come, per esempio, nella produzione di bulk e semilavorati cosmetici, oltre agli obblighi di classificazione, etichettatura e imballaggio (che discendono dal CLP) e a quelli di redazione della opportuna scheda di sicurezza (che discendono dal REACH), è obbligatorio notificare all’Istituto Superiore di Sanità la classificazione della miscela.

Quali ricadute sta avendo il REACH, dal punto di vista delle aziende cosmetiche?

Una delle prime conseguenze della registrazione è l’interruzione della disponibilità di ingredienti, un problema che ha cominciato a verificarsi con la prima scadenza per la registrazione del 1° dicembre 2010. Alcuni produttori o importatori hanno infatti deciso di non registrare determinate sostanze. In questi casi l’azienda deve valutare se sostituire la sostanza oppure se sia più opportuno importarla dal mercato extra UE, in questo caso accollandosi gli obblighi di registrazione al raggiungimento della tonnellata annua. I quantitativi già acquistati prima della scadenza di registrazione e stoccati a magazzino sono di fatto legalmente coperti dalla pre-registrazione e possono essere immessi sul mercato fino a esaurimento scorte. Questo punto è stato definitivamente chiarito dall’ECHA alla vigilia della prima scadenza di registrazione, in una specifica FAQ pubblicata sul proprio sito. Allo stesso modo, i quantitativi prodotti o importati prima della scadenza possono continuare a essere immessi sul mercato fino a esaurimento scorte, fermo restando che debba cessarne l’ulteriore produzione o importazione.

Quali sono le problematiche specifiche per l’utilizzatore a valle?

L’utilizzatore a valle deve utilizzare le sostanze nei termini prescritti dalla documentazione che riceve insieme con la fornitura. Quando la documentazione è una scheda dati di sicurezza che, oltre al numero di registrazione, contiene, in allegato, gli scenari espositivi della sostanza, per l’utilizzatore scattano obblighi specifici di verifica. Per chiarire questo punto, è necessario fare un passo indietro. Per tonnellaggi pari o superiori alle 10 tonnellate/anno il registrante deve aggiungere al dossier di registrazione una valutazione dei rischi connessi con l’uso della sostanza. Per le sostanze classificate come pericolose, tale valutazione deve portare alla determinazione delle condizioni nelle quali l’uso della sostanza può avvenire in sicurezza per tutto il ciclo di vita della sostanza, in tutti gli usi identificati della sostanza. Il risultato di questa elaborazione deve poi essere comunicato nella catena di fornitura, in forma di scenario espositivo allegato alla scheda dati di sicurezza. Quando l’utilizzatore riceve una scheda dati di sicurezza estesa, cioè contenente in allegato gli scenari espositivi della sostanza, deve individuare quello che identifica il proprio uso specifico della sostanza e verificare che le condizioni operative e le misure di gestione del rischio in esso raccomandate siano, come minimo, le stesse che l’utilizzatore ha adottato nel proprio sito produttivo.

Quali sono le difficoltà legate all’individuazione del proprio tipo di utilizzo e relativo scenario espositivo?

Spesso risulta difficile individuare rapidamente lo scenario espositivo d’interesse, sia per la mole della documentazione che deve essere analizzata, sia perché lo scenario d’interesse può essere compreso in uno più ampio e generico. Per esempio, un più generico «uso industriale»può comprendere un più specifico «uso in formulazione di prodotti cosmetici». Inoltre il linguaggio convenzionale che descrive gli usi è basato sull’impiego di alcuni codici descrittori, il cui significato deve essere conosciuto. Per aiutare l’industria cosmeticao a ttemperare ai propri doveri, Cosmetics Europe ha elaborato la «mappa dell’uso cosmetico», che descrive le fasi di produzione e confezionamento dei prodotti cosmetici e le modalità di dispersione nell’ambiente quando il prodotto finito è utilizzato dal consumatore, facendo ricorso al linguaggio standard. Cosmetica Italia ha pubblicato nel proprio sito Web la traduzione in italiano del documento, a disposizione di tutte le imprese associate. Dal momento in cui riceve la scheda dati di sicurezza, l’utilizzatore ha 12 mesi di tempo per adeguare, se del caso, le proprie procedure a quanto prescritto nello scenario espositivo, naturalmente se tale uso è descritto in uno scenario espositivo opportuno.

Cosa devono fare le aziende se manca lo scenario espositivo che contempla l’uso cosmetico o se questo uso è sconsigliato?

In questa eventualità il REACH prevede una rosa di possibilità. La prima è rivolgersi al proprio fornitore per valutare se questi può effettuare la valutazione e inserire il proprio uso non contemplato in uno scenario espositivo opportuno. In alternativa, si potrà cercare un fornitore che abbia contemplato tale uso. Un’altra possibilità è rappresentata dalla sostituzione della sostanza. Oppure, l’utilizzatore può effettuare una propria valutazione di sicurezza chimica, se possiede un’adeguata expertise. Chi optasse per questa soluzione dovrà notificare all’ECHA, attraverso un format specifico, l’utilizzo di quella sostanza al di fuori delle prescrizioni dello scenario espositivo; non dovrà invece inviare la propria relazione di sicurezza, ma conservarla ed esibirla in caso di ispezioni. I tempi previsti per quest’ultima opzione sono i sei mesi di tempo successivi al ricevimento della scheda dati di sicurezza. Si noti che, in caso di uso non contemplato per quantità inferiori a 1 tonnellata/annua, l’utilizzatore non ha l’obbligo di effettuare la valutazione di sicurezza chimica, ma deve comunque procedere alla notifica all’ECHA.

Quali sono le indicazioni per le aziende?

È importante che ogni azienda individui il proprio referente REACH, che deve seguire e controllare tutti gli aspetti di ricaduta del Regolamento sull’attività dell’impresa. Questa figura sarà anche quella che, in caso di ispezione da parte delle autorità competenti, sarà interpellata come primo referente aziendale. In sede ispettiva, le autorità si concentrano sulla documentazione presente: le schede dati di sicurezza devono essere a norma dei più recenti provvedimenti del REACH, cioè rispettare i requisiti del Regolamento 453/2010, che ha modificato l’Allegato II del REACH. L’applicazione del REACH è un lavoro in progress per tutti, anche per le autorità di controllo, che nei primi tempi hanno mostrato una certa tolleranza, soprattutto per quanto riguarda la conformità delle schede di sicurezza. Oggi, a 5 anni dall’entrata in vigore, non vi è alcuna tolleranza su questi aspetti. L’utilizzatore deve dimostrare di esserne consapevole e per questo motivo è fondamentale che siano documentate le eventuali relative richieste di adeguamento rivolte al fornitore.

Il REACH ha ricadute anche sui materiali di confezionamento?

Sicuramente sì, infatti i materiali di imballaggio, così come qualunque «oggetto» immesso sul mercato (per esempio gadget, materiale di merchandising sul punto vendita ecc.) sono «articoli» ai sensi del REACH. Negli articoli il fattore critico è la presenza di una particolare categoria di sostanze, definite Substances of Very High Concern o SVHC, dettagliate in un elenco ufficiale, detto Candidate List, nel sito Web dell’ECHA. La presenza allo 0.1% in peso di una SVHC in un articolo fa scattare degli obblighi immediati di comunicazione nella catena di fornitura da monte a valle, cioè dal fornitore di articolo al suo destinatario. È contemplata anche la possibilità che un consumatore richieda se nell’articolo che sta acquistando è presente una SVHC: in questo caso la risposta deve essergli fornita entro 45 giorni. Da ricordare infine che per produttori e importatori di articoli la presenza di SVHC in quantità pari o superiore allo 0.1% in peso comporta anche un obbligo di notifica all’ECHA, se la quantità totale di SVHC raggiunge una tonnellata/anno.

di E. Perani