Più tossicologia nell’industria e meno animali nella ricerca

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Anna Maria Bassi, responsabile Laboratorio Analisi e Ricerca in Fisiopatologia presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale (DIMES) dell’Università di Genova, Co-fondatore del Centro 3R (Centro Interuniversitario per la Promozione dei Principi delle 3R nella Didattica e nella Ricerca) di cui è past Vicedirettore.

Perché la tossicologia, relativamente ai sistemi biologici e ai sistemi ambientali, dovrebbe avere un ruolo più rilevante nella formazione di chi lavorerà nel settore chimico?
Oggi c’è la consapevolezza che moltissime sostanze di produzione industriale vengono prima o poi rilasciate nell’ambiente. Il livello di inquinamento è molto elevato, reperiamo sostanze originate dalle attività umane anche in ambienti apparentemente intatti. Il legislatore europeo sta chiedendo ai fabbricanti una mole di informazioni sempre maggiori sulla tossicologia delle sostanze e sui loro effetti a lungo termine nei sistemi biologici e ambientali. Inoltre, da parte delle politiche europee, ma anche del mercato, c’è la richiesta di orientarsi ad approcci safe by design, quindi di concepire il prodotto anche in funzione di una minimizzazione del rischio per chi è esposto a determinate sostanze e del rischio per l’ambiente. Al momento, però, questi aspetti entrano ben poco, se non per nulla, nei piani di studio dei corsi di laurea in chimica e solo in parte in quelli di farmacia, CTF e ingegneria biomedica. Interfacciandomi con colleghi di altre discipline scientifiche nell’ambito di progetti di ricerca, ho potuto constatare che aspetti del rischio chimico evidenti per chi studia tossicologia risultano invece del tutto trascurati nell’ambito della chimica proprio per la mancanza di un bagaglio di base in tossicologia. Analogamente, nel mondo della farmacologia e biomedico manca la parte ambientale. C’è un vuoto di conoscenze tossicologiche, di tossicologia ambientale, di ecologia in professionalità pur altamente formate. Questo porta a una sottovalutazione di tutta una serie di rischi, spesso in assenza della consapevolezza che andrebbero quanto meno sottoposti a valutazione. Come Centro 3R, non a caso, puntiamo sulla multidisciplinarietà.

Prof.ssa Anna Maria Bassi

Si fa abbastanza per la formazione sui metodi senza animali?
Considerando la mia esperienza e anche da quanto emerge dall’attività del Centro 3R, posso dire che ci sono forti carenze. Con il mio Dipartimento organizzo ogni anno corsi di formazione sulle metodologie in vitro e su modelli cutanei; anche durante i periodi di lockdown abbiamo proposto alcuni webinar. Riscontro però una generale difficoltà a portare avanti questo discorso. In Italia, sui metodi animal free e sulle Linee Guida OECD soffriamo di una carenza di offerta formativa. Il Centro 3R ha in programma di avviare alcuni corsi, ma l’offerta rimane molto limitata sul territorio nazionale nei curriculum di area biomedica. Il Centro 3R sta cercando di rompere il paradigma vecchio, ma ci sono sempre i docenti vecchi che sono cresciuti con concetti vecchi. Vedo una maggior recettività nei corsi di laurea in Bioingegneria, dove per esempio c’è stato l’avvio di un insegnamento a scelta, nell’ambito della laurea magistrale in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Torino, tutto dedicato alle 3R e di un’ampia sessione in un corso di dottorato a Milano Bicocca. Inoltre, sono anche stati avviati insegnamenti su questo tema in corsi di Laurea o lezioni in Corsi di Dottorato dell’università di Pisa, di Genova, di Pavia e di Milano Bicocca. Constato con rammarico che, nonostante l’evoluzione normativa e la specifica richiesta del settore cosmetico di bandire i test in vivo, la cultura della valutazione tossicologica, anche all’interno dell’università, è ancora radicalmente legata ai vecchi modelli animali, e si riscontra addirittura una sorta di scetticismo nei confronti delle metodologie alternative, che ha rallentato anche i lavori del Tavolo Ministeriale sui Metodi Alternativi.

Quale è il problema?
Il problema è cambiare del tutto l’ottica delle sperimentazioni e questo comporta un certo impegno, con la necessità di rivedere i disegni di ricerca e l’approccio ai metodi per ottenere le informazioni. Questa resistenza all’innovazione impedisce alle giovani leve della ricerca italiana di concepire nuove modalità di indagine, radicando il ricorso ai modelli animali che, appunto, sono solo modelli: ragionando in termini scientifici, sono passibili di essere superati da altri modelli che risulteranno funzionare meglio, come quelli in vitro e in silico o loro combinazioni. Di fatto non ci sono argomenti scientifici che giustifichino lo scetticismo verso i test alternativi, anzi questi ultimi sono oggetto di validazione e di continuo affinamento metodologico in funzione di un progresso tecnologico che è rapidissimo. Ci sono tecniche nuove anche su modelli animali in vivo ma le indagini stanno diventando più raffinate con le nuove tecniche di analisi/imaging, in linea con le 2R del Refinement e Reduction.

Possiamo dire che il futuro è nei test alternativi?
Nonostante Reduction e Refinement siano obiettivi importanti, il futuro della tossicologia e della ricerca biomedica è il Replacement, quindi un totale cambio di rotta, che permetta valutazioni scientificamente più specifiche in relazione alla biologia umana, oltre che eticamente accettabili, come riconosciuto in ambito internazionale. Ormai molte review hanno dimostrato che in diversi ambiti il modello animale non è sufficientemente predittivo e presenta dei limiti: questo sarebbe il punto da cui partire per capire che è indispensabile investigare nuove strade per una maggiore sicurezza ed efficacia dei test clinici. Nessun modello alternativo è sostitutivo di un animale, ma nessun modello animale è sostitutivo dell’uomo. Esistono metodi non animali per i test tossicologici e sull’efficacia del farmaco di uguale o migliore predittività di alcuni test in vivo. A livello europeo abbiamo partecipato a diversi progetti di studi biomedicali in cui si lavorava direttamente su modelli non animali, partendo da cellule umane. Altra obiezione non veritiera è il presunto costo maggiore dei metodi in vitro, ampiamente smentita, conti alla mano. Purtroppo, nel nostro paese c’è una classe di ricercatori legata esclusivamente alla sperimentazione su animali, chiusa all’evoluzione metodologica e abbastanza influente per cercare di screditare i metodi alternativi, con il risultato di rallentare in Italia la crescita tecnologica. Il Centro 3R promuove una mentalità aperta verso nuove tecnologie e approcci metodologici, pure riconoscendo il ruolo importante che ad oggi ancora hanno i modelli animali in alcuni ambiti come la medicina e la farmacologia. Pertanto, promuove un atteggiamento responsabile ma aperto al progresso. Si tratta del progresso verso nuove metodologie emergenti destinate ad avere un forte impatto sulla sicurezza e sulla salute umana e a dare un grosso impulso allo sviluppo economico del nostro paese.

Oltre ai corsi, ci sono altre attività del Centro 3R al fine di promuovere gli approcci alternativi?
Per quanto sia attivo solo da pochi anni, il Centro 3R è già ampiamente considerato a livello europeo per autorevolezza, tanto che collabora con i grandi network di supporto al legislatore. In questo ambito, il Centro 3R, molto attivo nella comunicazione, ha curato la traduzione in italiano delle linee guida ARRIVE (Animal Research: Reporting of In Vivo Experiments, sviluppato dal  NC3Rs – The National Centre for the 3Rs) e sta preparando quella delle linee guida PREPARE (Planning Research and Experimental Procedures on Animals: Recommendations for Excellence, sviluppato dal NORECOPA – Norwegian Consensus Platform for Replacement, Reduction and Refinement of animal experiments). La disseminazione di queste linee guida in italiano dovrebbe aiutare a superare lo scetticismo, che in ambito universitario si continua ad avere verso una ricerca basata su metodologie senza animali, pur trattandosi di un ambito attualmente basilare per la cosmetica, e in fase di studio nella farmacologia e nella medicina. È il sistema universitario a dover fare i passi fondamentali per promuovere quest’area, parallelamente nella ricerca e nella formazione.