Plastic tax, cosmetica ed economia circolare, Iraldo: «Uno stimolo per usare plastiche riciclate»

Plastic tax ed economia circolare, Iraldo: «Uno stimolo per usare plastiche riciclate»

Plastic tax ed economia circolare, Iraldo: «Uno stimolo per usare plastiche riciclate»

Investire nella riduzione degli imballaggi monouso e nell’abbattimento dell’impronta ambientale del packaging è una valida strategia non solo in vista della nuova tassazione. Il commento di Fabio Iraldo, professore ordinario presso l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

La plastic tax può rappresentare un’opportunità per le imprese, ai tempi della transizione ecologica?
«Premetto che ritengo che la fobia per la plastica degli ultimi anni sia ingiustificata in quanto indiscriminata: i materiali dovrebbero essere considerati in relazione al loro uso e la plastica, per determinati usi, è estremamente efficace nelle performance e con caratteristiche che possono incidere positivamente sull’impronta ambientale. Per esempio la leggerezza, che la fa risultare vantaggiosa nei casi in cui il peso ambientale principale nel ciclo di vita del prodotto sia legato al trasporto. Sono in generale diffidente rispetto alle crociate contro questo o quel materiale, quando fondate su analisi grossolane. Non è questo il caso della plastic tax che, per come è stata pensata in Italia, risulta fondata su tre criteri razionali grazie a cui può essere considerata un’opportunità. In primo luogo va sottolineato che questa tassa non colpisce la plastica in sé, ma è volta a disincentivare le plastiche monouso. E non si configura come tassa sul packaging, bensì sulle confezioni monouso, che sono il punto debole del packaging. Per gli imballaggi riutilizzabili la plastic tax non si applica, un criterio fortemente in linea con l’economia circolare. Come anche il criterio che esenta le plastiche derivate da riciclo. Che la frazione di plastiche di seconda vita negli imballaggi monouso sia risparmiata da questa misura non è una banalità: la declinazione italiana dell’indicazione europea è più selettiva e amplia gli sbocchi sul mercato per le plastiche di seconda vita. Un’esenzione che non solo è utile, ma rappresenta un necessario incentivo, perché in mancanza di un impiego per le materie prime seconde si vanifica lo sforzo fatto per differenziarle e reimmetterle nel ciclo produttivo. Il provvedimento è quindi coerente con l’economia circolare e si aggiunge al quadro degli sgravi fiscali esistenti in Italia per chi impiega materie seconde. È uno stimolo positivo per le aziende a rivolgersi di preferenza verso le plastiche riciclate, che sono disponibili anche per la cosmetica. Il terzo criterio interessante è l’esenzione dalla plastic tax dei materiali compostabili secondo le norme UNI. Ancora una volta in contrapposizione con la linea europea, che vorrebbe veder sottoposte a tassazione anche questo tipo di plastiche monouso».

Vede elementi di debolezza in questa nuova fiscalità rispetto agli obiettivi ambientali?
«Nella plastic tax italiana manca un quarto criterio: che l’aliquota secca di 0,45 euro al chilo sia invece differenziata e progressiva rispetto al tipo di plastica che si usa, in particolare alla riciclabilità del polimero. Una plastica monouso pur in materiale vergine ma facilmente differenziabile e riciclabile dovrebbe pagare una plastic tax inferiore, soprattutto in confronto a imballaggi multipolimerici non separabili o addirittura multistrato con materie prime non plastiche. Un principio non nuovo in Italia, visto che già il contributo ambientale Conai è differenziato in funzione del livello di riciclabilità del materiale. Un buon monomateriale, magari privo etichette, di inchiostri e con additivi che non ostacolano i cicli successivi merita di essere premiato per la facilità con cui può essere avviato al riciclo».

L’introduzione della plastic tax, già presente in alcuni Stati europei e nel Regno Unito, avvantaggia chi ha investito per ridurre il packaging in plastica. L’orientamento delle politiche comunitarie dovrebbe spingere l’industria a investimenti maggiori?
«In questa fase, qualsiasi investimento verso l’economia circolare non è solo un vantaggio rispetto al conto economico e ai costi ambientali delle attività delle imprese, ma ritorna anche come miglioramento dell’intero sistema, con ricadute positive ulteriori per le imprese, perché un incremento dell’offerta di materie prime seconde facilita la loro reperibilità e il loro utilizzo. Ritengo che questo meccanismo sia più efficace rispetto alla sostituzione di materiali. Per esempio, la sostituzione della plastica con materiali cellulosici non è la soluzione se queste cellulose, per essere funzionali, devono essere accoppiate con film plastici o impregnate con polimeri che le rendono molto meno riciclabili della plastica, quindi contrarie al concetto di circolarità. La corsa ai materiali misti riduce la plastica ma porta spesso a soluzioni ancora più problematiche. È sempre opportuno ricordare che qualsiasi innovazione, nel packaging come nei prodotti, deve fare i conti con una valutazione dell’impronta ambientale secondo i criteri oggettivi delle metodologie LCA, definite dai rispettivi standard armonizzati. La direzione è questa, stabilita anche dalla proposta di regolamento Ecodesign di prossima approvazione che entrerà in vigore nel 2024: un nuovo prodotto dovrà essere sottoposto ad analisi del ciclo di vita prima dell’immissione sul mercato, al fine di poter esporre la sigla CE che certifica una progettazione secondo criteri di ecodesign. Una direzione irreversibile».

Plastic tax ed economia circolare, Iraldo: «Uno stimolo per usare plastiche riciclate»
Fabio Iraldo, professore ordinario presso l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Già oggi si pone il problema della scarsa disponibilità di plastiche da riciclo. C’è un ruolo delle imprese?
«È un problema generale dei materiali di seconda vita, una contraddizione rispetto alle ingenti quantità di rifiuti prodotti. La cosmesi sente molto il tema della plastica, ma anche altri materiali riciclati scarseggiano, per esempio i tessili. La carta è forse l’unica eccezione, ma anche di questa non c’è sovrabbondanza. Quello dell’economia circolare è un mercato. Per far decollare il mercato delle materie prime seconde serve innanzitutto il rifiuto selezionato, di alta qualità, che deriva da una raccolta differenziata ben organizzata e capillare. Ma a tale scopo è indispensabile che tutto ciò che diventa rifiuto sia progettato per essere facilmente identificabile e riciclabile. Su entrambi questi punti si profila la responsabilità delle imprese. Entrare in quest’ottica significa superare una ricerca puramente estetica che penalizza l’impronta ambientale, creando per esempio imballaggi multimateriale non separabili o poliaccoppiati solo per una finalità di presentazione. Conciliare l’estetica con la priorità dei problemi ambientali richiede un diverso approccio non meno inventivo. Non saper rinunciare a certe presentazioni presuppone, peraltro, che il consumatore non capisca la posta in gioco, quella della tutela del pianeta. Invece il consumatore l’ha capita benissimo e ricerca attivamente prodotti più attenti alla sostenibilità. Molte sono le incoerenze legate al packaging cosmetico. Per esempio, raramente i cosmetici riportano le indicazioni dettagliate su come smaltire gli imballi. Per contro, i prodotti per la cura della persona sono la merceologia con il maggior numero di green claim sulle confezioni. Così il cosmetico vive la forte stonatura di un packaging che parla tanto di sostenibilità senza dire al consumatore le informazioni essenziali: un grande paradosso».

Un altro ambito che forse richiede maggiore impegno è il take back dal mercato ai fini del riciclo di qualità.
«È vero, la logistica di ritorno dei materiali da imballaggio è poco praticata. Riguardo alle plastiche, è in parte giustificata dall’esistenza di consorzi esterni per un efficiente recupero di alcuni polimeri specifici, che renderebbe poco remunerativo questo tipo di investimento da parte di molti attori, soprattutto quelli che non hanno una rete di distribuzione diffusa. A questo si aggiunge l’aspetto normativo, che rappresenta un ostacolo non da poco sia per il brand sia per il negozio, nel momento in cui la raccolta dei contenitori riportati dai clienti si configura, come prevede la legge, come attività di raccolta di rifiuti. Il take back dal mercato è complesso quasi più dal punto di vista burocratico-regolatorio che organizzativo. Credo però che questa pratica sia molto interessante per tutti i prodotti per cui si possa fare il refill del vuoto a rendere: non dà problemi burocratici e dal punto di vista delle lavorazioni è sufficiente igienizzare il contenitore. Questa soluzione potrebbe essere facilmente praticabile per prodotti distribuiti sul territorio nei canali molto diffusi come le erboristerie. Con qualche sforzo burocratico in più, anche il take back di propri flaconi da rilavorare può essere economicamente interessante, perché, al di là della plastic tax, chi può dimostrare di ritirare il proprio contenitore sopra determinate percentuali è esentato dal contributo Conai».

Il riutilizzo degli imballaggi è forse più semplice nel B2B?
«Lo spreco di imballaggi nel B2B è un aspetto enormemente migliorabile. In particolare, nei magazzini della cosmetica e delle materie prime cosmetiche si rileva la più grande disomogeneità quanto a dimensioni, materiali, accoppiamenti fra materiali differenti rispetto a qualsiasi altro settore industriale in Italia. Tutte queste variegate confezioni diventano giocoforza rifiuto. Questo rappresenta un ostacolo enorme a una gestione razionale degli imballaggi B2B finalizzata alla loro riduzione. Ed è una parte in cui si può fare davvero molto con uno sforzo economico ridottissimo. Il punto di partenza dovrebbe essere l’omogeneità dei contenitori. A maggior ragione considerando che i fornitori di materie prime cosmetiche sono in numero relativamente circoscritto e riforniscono molte aziende. A livello di filiera, inoltre, c’è una buona coesione fra le imprese, esistono anche distretti produttivi. Non dovrebbe quindi essere troppo difficile, una volta uniformate le tipologie e i materiali delle confezioni, organizzare un sistema di reso degli imballaggi, abbinando questa logistica di ritorno al momento di una nuova fornitura. Una pratica che avvantaggerebbe tutti, visto i costi di smaltimento dei rifiuti industriali, che domani saranno ulteriormente gravati dalla plastic tax».