Per quanto il Regolamento REACH suggerisca la massima attenzione a limitare i test su animali per raccogliere le informazioni di sicurezza delle sostanze chimiche, tali indicazioni rimangono spesso disattese. «Indipendentemente dal divieto in cosmetica, rilevo che in ambito REACH vengono condotti moltissimi test in vivo, nonostante l’esistenza di test alternativi validati: un sacrificio inutile e illegale -afferma Costanza Rovida, di REACH Mastery e attiva nel CAAT-Europe, il Center for Alternatives to Animal Testing. –Peraltro, la direttiva 63/2010, che disciplina la condotta rispetto all’uso di animali da laboratorio, di prossimo recepimento in Italia, prescrive che i test in vivo vengano autorizzati. Tuttavia non vedo nelle aziende la disposizione ad attivarsi in tal senso. A questo si aggiunge l’inerzia delle autorità di controllo sull’applicazione del sistema sanzionatorio». Un problema specifico per il mondo cosmetico riguarda la consuetudine di effettuare test in vivo ai fini del REACH anche per le sostanze di potenziale interesse per l’uso cosmetico. «Questo, secondo un’interpretazione restrittiva del Regolamento cosmetico, basterebbe a precluderne l’uso come ingredienti cosmetici. La questione non ha ancora ricevuto un chiarimento a livello regolatorio e ancora non riceve dalle aziende la giusta attenzione, con potenziali ripercussioni per il mercato delle materie prime cosmetiche e per le opportunità commerciali in Europa degli stessi produttori/importatori».
«L’indicazione di limitare l’impiego di vertebrati in ambito REACH è in contraddizione con l’esigenza di avere una serie di dati tossicologici e con la diffidenza delle Autorità nell’accettare approcci in-silico (esempio QSAR), mentre le sperimentazioni in-vitro rimangono limitate a pochi end-points tossicologici di carattere prevalentemente acuto» riferisce Maurizio Colombo, membro del Comitato Tecnico di Mapic e del GdL REACH Implementation di Federchimica.
La posizione delle autorità regolatorie rimane sull’utilizzo di metodologie validate, con la tendenza a respingere valutazioni basate su approcci alternativi per i quali non sia ancora completato l’iter di validazione, anche se dimostrano buona predittività. «Su questo aspetto i comitati di valutazione dell’ECHA stanno mantenendo un approccio caso per caso –riporta Andreas Herdina, Director of Cooperation e SME Ambassador in ECHA. –I test alternativi sono accettati solo se validati, quindi se hanno dimostrato di essere, dal punto di vista scientifico, equivalenti ai test su animali. In alcuni casi i percorsi alternativi sono pienamente accettati, ma ci sono casi in cui l’unico modo per assicurare risultati credibili è la sperimentazione su animali».
di E.Perani