Sostenibilità non è solo fabbricare prodotti con un miglior bilancio sociale e ambientale ma anche accompagnarli con una comunicazione che stimoli il consumatore a porsi domande su cosa sta acquistando e utilizzando
Appassionato di saponi e saponificazione fin da quando era ragazzino, Luigi Panaroni, di formazione chimica, insieme alla socia e compagna Lucia Genangeli è riuscito a trasformare questo interesse in una officina produttiva cosmetica che oggi occupa una ventina di persone: La Saponaria. Avviata nel 2006 a Fano, è una realtà orientata alla cosmesi naturale e alla sostenibilità, che ha il proprio core business nello sviluppo e fabbricazione dei cosmetici biologici del proprio marchio, commercializzati nel canale erboristeria e attraverso il proprio sito di e-commerce. Inoltre, opera in parte come terzista, soprattutto nel private label di alta qualità, sia per aziende agricole che desiderano proporre cosmetici ottenuti dalla trasformazione dei prodotti delle proprie coltivazioni, sia per aziende più grandi, a diffusione nazionale o europea, che cercano prodotti biologici e alti standard qualitativi.
Come nasce la Saponaria?
Siamo partiti con l’idea di produrre per autoconsumo e per pochi amici: il nostro primo laboratorio era in casa. In precedenza, negli anni della scuola superiore, avevo fatto prove di saponificazione nel laboratorio scolastico ed ero rimasto colpito dal fatto che da una reazione si producesse un bene di uso quotidiano come il sapone. Parlandone poi con mia nonna, ho scoperto dai suoi racconti che in passato preparare il sapone in casa era una pratica comune. Da lì è partito il mio interesse per la riscoperta delle ricette tradizionali e delle produzioni artigianali del passato. Più avanti, durante gli studi universitari, ho continuato a coltivare la curiosità di applicare le conoscenze scientifiche e le tecnologie di cui oggi disponiamo per creare prodotti che uniscano il patrimonio di conoscenze del passato con quello attuale. L’amore per la natura e la spinta a uno stile di vita sostenibile che condivido con Lucia ci hanno orientato da subito alla cosmesi biologica, in un periodo in cui ben pochi credevano anche solo nella possibilità di riuscire a fare prodotti di questo tipo.
Quali sono stati i passaggi che vi hanno portato allo stabilimento di Vallefoglia? E quali sono i risultati?
Incoraggiati da tanti amici che apprezzavano i nostri prodotti e grazie al crowdfunding abbiamo avviato un piccolissimo laboratorio a Fano, completamente adeguato alle prescrizioni GMP. Entrambi eravamo all’epoca occupati in altri settori; il laboratorio era un secondo lavoro, che si è trasformato nella nostra principale attività grazie al successo dei prodotti. Da allora, oltre ai saponi e alla detergenza, abbiamo espanso la nostra proposta a tutto lo skin care, compresi i solari. In pochi anni è stato necessario ampliarci, in superficie e collaboratori, trasferendoci nella sede attuale. Negli ultimi anni il nostro fatturato sta crescendo del 30% circa all’anno. Siamo quindi in una fase di ulteriore espansione, che ci porterà a un altro trasferimento in una nuova officina produttiva che stiamo allestendo a Pesaro, in un capannone che contiamo di ristrutturare entro la prossima primavera.
Come vedete il canale erboristeria?
Oggi l’acquisto del cosmetico green è legato a una molteplicità di canali. Il canale online, per esempio, per noi rappresenta una quota rilevante delle vendite. Ci sono però anche i canali generalisti come la GDO, a cui noi per scelta non ci rivolgiamo, che negli ultimi anni sono molto cresciuti nell’offerta del prodotto con connotazione naturale e anche biologico certificato, intercettando quella parte della domanda che pone attenzione al rapporto qualità-prezzo e meno sensibile ad alcune specifiche di prodotto che continuano a rimanere prerogativa della proposta dell’erboristeria. Seppur a fronte di una domanda del prodotto naturale in forte espansione, questi fattori concorrono a un’erosione dei fatturati di questo canale, che può essere contenuta attraverso un forte orientamento alla consulenza e ai servizi offerti.
Nel vostro approccio rientra un’attenzione rilevante alla filiera di fornitura.
Cerchiamo ingredienti di cui possiamo seguire la tracciabilità, privilegiando filiere locali e biologiche, spesso di agricoltori del nostro territorio. Laddove questo non sia possibile, come per molte delle commodities, valutiamo altri criteri, per esempio l’uso di tensioattivi da olio di palma con certificazione RSPO. Siamo però sempre alla ricerca di soluzioni locali, come è avvenuto con un nuovo emulsionante di produzione italiana derivato dal riso. Usare un ingrediente di questo tipo richiede un grande lavoro di riprogettazione delle formulazioni, ripartire da zero con le prove di stabilità e tutti i test necessari, ma ci permette di creare linee più sostenibili. Per questo intendiamo intensificare le collaborazioni con gli agricoltori, attraverso le quali, soprattutto per gli attivi, possiamo fare la differenza, anche se è più complesso e più costoso. Rifornendosi dai grandi gruppi, infatti, si può contare su materie prime con specifiche definite, mentre lavorando con piccole aziende agricole è necessario seguire tutto il processo di trasformazione. In questo modo, tuttavia, possiamo dare veramente un forte valore aggiunto al prodotto, non solo di tipo etico, sociale e ambientale derivante dal sostenere filiere locali, ma anche legato alla qualità elevatissima delle materie prime, che parte dalla certezza sulla tracciabilità e sui metodi di coltivazione.
Perché promuovete la realizzazione di cosmetici fai-da-te? Come si collega al concetto di sostenibilità?
La Saponaria è nata dall’autoproduzione. Crediamo nel valore di sapere cosa compone il prodotto che usi tutti i giorni, mentre non è scontato che tutti sappiano da dove derivino i prodotti di uso quotidiano. Ci piace l’idea di promuovere la consapevolezza dei consumatori su quali sono i principi alla base del cosmetico e su come viene fabbricato: non c’è comunicazione più efficace dell’esperienza di farlo da sé. Oggi la pratica del consumo ha provocato un allontanamento da molte conoscenze che in passato erano parte del bagaglio delle persone, e questo vale per il cibo e per tanti altri saperi.
Intende dire che c’è una sorta di analfabetismo?
In qualche misura sì. La maggior parte delle persone non sa come stia insieme una crema o perché un sapone lavi, così come non sa da dove nasca un vasetto di plastica o come sia preparata la torta che acquista già pronta. Il nostro motto è «cosmetica consapevole»: non ci interessa solo fare un prodotto buono per la pelle, per l’ambiente e la società, vogliamo anche che la gente sia consapevole, che sappia che dietro alla produzione c’è un lavoro e un costo e che il costo della lavorazione deve essere proporzionale al costo del prodotto finito. Dal nostro punto di vista non ha senso una crema che costa 200 euro al pari di una che ne costa 2. Accanto alla condivisione delle ricette e alla vendita degli ingredienti o dei kit attraverso il nostro sito, corredati da tutte le istruzioni e le avvertenze per prevenire rischi –a partire da quello microbiologico, siamo impegnati anche a offrire corsi per l’autoproduzione di cosmetici. La comunicazione fondata solo sui claim ci sembra infatti insufficiente e piatta. Per questo intendiamo promuovere una comunicazione fondata sulla conoscenza di come il prodotto è costruito, che dovrebbe stimolare il consumatore a porsi qualche domanda in più, anche sulla tossicità delle materie prime e sugli impatti ambientali dei propri consumi.
LINEA VISO A FILIERA CORTA
Con 15 referenze per la cura di tutti i problemi del viso per i differenti tipi di pelle, la Linea Viso Costituzionale si propone non solo per l’efficacia e la gradevolezza dei suoi prodotti ma anche come progetto di valorizzazione di ingredienti da filiera locale. Utilizza infatti un emulsionante innovativo nel panorama di questi ingredienti, derivato da olio di riso di produzione italiana. L’altro ingrediente di spicco della linea è rappresentato dalle ‘acque costituzionali che, spiega Luigi Panaroni «sono un elemento molto interessante perché legato a un progetto di collaborazione con un’azienda agricola del nostro territorio, una piccola realtà che tratta erbe e frutti per la preparazione di tisane attraverso essicazione. L’acqua risultante da questo processo di disidratazione veniva smaltita come rifiuto. Ne abbiamo invece indagato il contenuto in principi di interesse cosmetico scoprendo una sorprendente ricchezza. Abbiamo quindi studiato formulazioni per valorizzare l’acqua di mirtillo, di melagrana e di melissa, sviluppando una intera linea viso da poco lanciata con ottimi riscontri sul mercato».